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Memorie storiche di Favara di Carmelo Antinoro OSPEDALI - EPIDEMIE |
OSPEDALI
L'ospedale S. Nicolò
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Un momento abbastanza significativo e probabilmente determinante per la fondazione dell'ospedale fu l'elevazione dello Stato di Favara da baronia a marchesato. Nel 1559 con privilegio Reale veniva concesso a donna Giovanna de Marinis di elevare lo Stato di Favara a marchesato. Scriveva l'abbate Vito Amico: Un ospedale finalmente ci era, testimonio il Pirri, nella chiesa di S. Nicolò, oggi deserto. L'ospedale era retto da un procuratore, da un vicario, da uno o più deputati, da uno o più rettori e da un detentore dei libri. Alla conduzione sia dell'ospedale che della chiesa di S. Nicolò contribuivano i cappellani per la celebrazione delle messe e per la solennizzazione della festa del glorioso santo, il sacrestano, il notaio, i medici, le nurrizze per il nutrimento dei bambini bastardelli, gli aromatari per la fornitura dei medicamenti, il barbero, il mastro marammiere ed i manuali per la manutenzione delle fabbriche ed altre persone ancora. Gli introiti provenivano da censi e gabelle su terreni, case e botteghe. Tra la seconda metà del sec. XVII e la prima metà del XVIII gli introiti ammontavano mediamente a 25 onze all'anno (circa 7.750 euro attuali). Tra la seconda metà del 1600 e la prima metà del 1700 allo spitaleri venivano assegnate 3 onze all'anno per governare li poveri infirmi; al cappellano per la celebrazione di tre messe per settimana, comprese le feste comandate, veniva assegnato un salario annuo di 8 onze; per solennizzare la festa di S. Nicolò venivano spese onze 2 per cera, per sparaturi di maschi, maschi, giummarri e per paraturi della chiesa; inoltre 6 tarì per salario di barbero, 2 tarì per suonare il tamburino ed altre spese ancora per il servizio dei medici, per acquisto di cera lavorata per la chiesa, per medicamenti, per conzare le fabbriche della chiesa e dell'hospidale, per l'ostij, per vistimenti, scarpi, calzarelli, faldari di lana, linzola, matarazza, motande, tele, gipponi, cutricelli, fasci e pannizzelli. Nel 1768 i deputati delle venerabili chiese e luoghi pii di Favara arciprete Giuseppe Cafisi, vicario sac. Girolamo Mendola e sac. Calogero Vita si attivarono per la ristrutturazione dell'ospedale. Nel 1770 il protonotaro apostolico ed arciprete di Favara dott. Giuseppe Cafisi concedeva di utilizzare una casa di sua proprietà, dietro la madrice, nelle more della nuova costruzione da realizzare accanto la chiesa S. Nicolò. Nello stesso anno l'ospedale veniva ampiamente ristrutturato. Notevoli lacune documentali di epoca successiva non permettono di stabilire se l'ospedale abbia avuto periodi di inattività; tuttavia nel 1804 l'impianto era ancora in vita. Nel 1819 l'impianto probabilmente non era in funzione; nessuna menzione infatti veniva fatta in una lettera indirizzata al rettore della chiesa di S. Nicolò sac. Antonio Vullo da parte di Marco Indelicato, canonico della cattedrale di Girgenti. Intorno al 1890 l'ospedale cessava di funzionare.
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L'ospedale della Grazia della Portella
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Nella seconda metà del 1800, essendo venuto meno l'uso dell'ospedale S. Nicolò e nel contempo anche del cinquecentesco cenobio di Maria SS. della Grazia della Portella, dietro petizione popolare si pensò di trasformare quest'ultimo in ospedale per dare sostegno alla povera gente. Nel 1880 il Consiglio comunale istituiva un'opera di beneficenza in favore dei poveri. Il primo pensiero fu quindi quello di recuperare e riadattare i locali della Portella e per questo non mancarono le oblazioni di persone sensibili. I locali venivano completati nel 1882 e contenevano otto posti letto, il tutto corredato di biancheria, mobili, etc. Al mantenimento ed alla realizzazione dell'opera contribuirono ricchi benefattori. Nel 1883, con propria dichiarazione, il sac. Arnone si impegnava, durante vita, ad assumere a titolo gratuito la direzione dell'ospedale appena istituito e, per meglio disimpegnare questo servizio, fissare la propria dimora nel medesimo locale. Dopo un susseguirsi di comunicazioni e solleciti durati quasi un anno, nel 1883, su proposta del Ministero dell'Interno, il Governo del Re emanava il decreto sulla elevazione a corpo morale dell'ospedale della Grazia della Portella. Nel 1885 venivano donati due appezzamenti di terra confinanti con le fabbriche dell'ospedale, da parte di Biagio Licata principe di Baucina. L'aggregazione di dette terre si giustificava, nel caso in cui le circostanze lo avessero reso possibile, per l'ampliamento dei locali. Tra il 1887 e 1889 l'ospedale navigava in condizioni economiche precarie e chiedeva aiuti al Ministero. Sin dal suo nascere la struttura comincò a manifestava le proprie carenze. Non mancarono le critiche dei cittadini ed in particolare del giornale politico-amministrativo settimanale locale "La campana del popolo" che esprimeva pesanti commiserazioni sull'operato sia dell'Amministrazione comunale che della maggior parte della gente facoltosa che si limitava a donare solo qualche spicciolo. Tra le incongruenze, le carenze ed i bisogni dell'istituto il giornale evidenziava l'esigua ampiezza della struttura, la mancanza di un arredo completo, la difettosa ed indecente biancheria di ricambio e per qualsiasi altro uso, la mancanza di un gabinetto scientifico, la carenza di personale medico e di infermieri. Il giornale, molto critico sulla questione, faceva sempre riferimento al Comune quale organo direttamente responsabile e inadempiente, che non stanziava alcuna somma per il mantenimento di una struttura di così grande importanza per la gente povera che continuava a morire sopraffatta da malattie, abbandonata nei più reconditi angoli delle proprie misere abitazioni. L'ospedale veniva chiuso per mancanza di fondi intorno al 1930.
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L'ospedale di v. Beneficenza Mendola
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Nel 1906 il barone Antonio Mendola con proprio testamento disponeva la donazione in favore del Comune del suo palazzo in contrada Itria-S. Francesco, in via Beneficenza Mendola, con all'interno una biblioteca di circa 14.000 volumi, un museo, un laboratorio per la rilegatura, un piccolo osservatorio meteorologico ed altro ancora, con l'obbligo di adottarlo come sede ferma e pubblica del suo loculus popularis sapientiae. Purtroppo buona parte del Consiglio comunale non si trovava concorde ad assumere questo onere, fino alla decisione dell'unica figlia del barone, la quale, non vedendo alternativa, ha deciso di concedere il trasferimento del materiale esistente nel loculus nell'antico palazzo di città, per l'occasione trasformato in biblioteca comunale (ancora oggi esistente in piazza Cavour); tutto questo con la clausola che il palazzo di S. Francesco poteva essere utilizzato solo per scopi benefici, pena l'incameramento del bene nel patrimonio di famiglia. Nel 1937 il nuovo ospedale veniva aperto nel palazzetto del barone Antonio Mendola. I locali della Portella nel contempo venivano utilizzati per isolamento di ammalati contagiosi e poi come sede dei carabinieri prendendo l'appellativo di nucliu. Intorno alla fine degli anni ''50 del sec. XX, a seguito della costruzione delle case popolari E.S.C.A.L. veniva modificata l'area limitrofa alla chiesa ove anticamente si svolgevano i festeggiamenti della Bammina (Madonna bambina), con la realizzazione di nuove strade. Nella seconda metà degli anni ''70 del XX sec. invece veniva demolito l'ex cenobio per riadattare l'area resa libera a parcheggio ed ivi realizzare un anacronistico poliambulatorio e la chiesa. Nel corso di lavori abusivamente eseguiti, veniva demolita la struttura dell'antico cenobio e la chiesa veniva ignobilmente imprigionata da una gabbia di calcestruzzo armato e con lo stesso materiale veniva costruito ad est del prospetto, un informe campanile. Anche il neoclassico palazzotto Mendola veniva deturpato negli anni ''80 a seguito di lavori condotti in modo inadeguato e riutilizzato come caserma dei carabinieri prima e come scuola materna successivamente.
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EPIDEMIE
Il colera morbus del 1866-1867
Localizzazione del preesistente complesso conventuale di S. Francesco
Lapide distrutta del notaio Gerlando Vaccaro
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Nel mese di luglio 1865 veniva riconosciuta l’esistenza del morbo colerico nella città di Ancona, ma il ministro dell’Interno non drammatizzava e con lettera del dì 26 comunicava al prefetto di Girgenti di vigilare e provvedere su quanto disposto in merito alla pubblica sanità ed igiene e di raddoppiare la sorveglianza. Con lettera del 2 agosto 1865 il prefetto di Girgenti informava i sindaci del circondario sul contenuto della nota ministeriale e li richiamava all’attenzione sulla pulizia degli ospedali, delle carceri mandamentali, sulla bontà dei cibi, sulla pulizia degli abiti e di ogni utensile. Con circolare del 27 settembre 1865 il Ministero dell’Interno tentava di fissare delle regole per attenuare le conseguenze del colera che già travagliava molti Comuni del Regno. Pubblicata la legge sanitaria del 20 marzo 1865, il prefetto di Girgenti reiterava l’invito alle Amministrazioni locali a provvedere alla realizzazione dei cimiteri che per le leggi ed il regolamento sanitario vigenti dovevano essere portati a termine all’inizio del 1867. Il 9 ottobre 1866 si riuniva, in seduta straordinaria, la Commissione Sanitaria di Favara composta dai medici Antonio Mulè, in sostituzione del Sindaco, Giovanni Antonio Bellavia, Giovanni Giudice, Gaetano Giglia, Gerlando Giudice, Salvadore Spadaro e Gaetano Vita medico condotto e segretario, per discutere su un cordone sanitario per impedire l’introduzione all’interno del Comune di Favara, di persone esterne infette. Il 7 dicembre 1866 si manifestava il primo caso di colera a Favara. Il 12 dicembre 1866 il sindaco comunicava al prefetto che per quattro giorni un individuo aveva manifestato segni colerici non tanto chiari e che il dì 11 era morto di tale malattia. Il giorno 12 comparivano altri tre casi, di cui uno grave. Con lettera del giorno 13 il sindaco comunicava che altre tre persone erano state attaccate dal male e due di queste erano già morte. Con lettera del 16 dicembre 1866 il prefetto di Girgenti spendeva non poche parole per dimostrare l’immensa utilità dell’applicazione dei provvedimenti legislativi ai fini della salute pubblica. Con nota del 22 dicembre 1866 il sindaco Gerlando Vaccaro comunicava al prefetto che da più di dodici giorni il colera aveva attaccato ventisei persone, di cui otto erano morte e di queste ultime tre non avevano chiamato medici, mentre sedici erano guarite e due erano ancora sotto cura. Il sindaco Vaccaro rispondeva alla prefettizia del dì 16 con nota del 26 dicembre 1866: "..... qui il cimitero esiste lungi dall’abitato al di là di cento metri, in punto elevato, non essendovi bisogno che di pochi ristauri nella chiesa aggregata, al recinto alto di mura di tre metri, ove si esegue il seppellimento dé cadaveri col metodo della inumazione" (v. foto del rilievo planimetrico). Il Prefetto rispondeva che quant’unque il Comune disponeva di cimitero, doveva essere verificata la conformità alle prescrizioni degli artt. 70 e 79 del Regolamento Sanitario ed in caso contrario il Comune non doveva esimersi dalla progettazione di un nuovo cimitero od all’adeguamento di quello esistente. In data 27 gennaio 1867 il Sindaco, viste le condizioni sanitarie del Comune per la invasione del morbo colerico ed in virtù delle facoltà speciali concessegli dall’art. 104 della legge del 20 marzo 1865 sull’igiene e salute pubblica, ordinava la sospensione delle festività ecclesiastiche e le quarant’ore in tutte le chiese. Dopo qualche decina di giorni dalla comparsa del colera un gruppo di volontari benestanti favaresi contribuivano al soccorso degli infelici colerosi con la somma di lire 541,50. In una relazione medica si evidenziava: …i sintomi della malattia e le sue diverse fasi in tutti si manifestarono quasi nell’ugual modo: invasione, conturbamento di mente e lassezza. Indi freddo progressivo per tutto il corpo, dolori articolari vaghi, indi crampi ora agli arti, ora al torace, ed all’addome, demagrimento istantaneo con infossamento di occhi, colore scuro, vomito e diarrea d’apprima gialla, e di poi come acqua di riso. In tutti coloro che il morbo estinse, il vomito, e la diarrea non furono né abbondanti né durevoli. Polsi d’apprima frequenti e bassi, indi mancanti in tutti assolutamente. Cardialgia, ansietà insoffribili. ..... La cura non ha trovato alcuno specifico, ma la cura razionale ha bisognato modificarsi giusta il grado d’intensità dei sintomi, sicché dapprima si cercava confortare e calmare il vomito e la diarrea, e quante volte siffatti disturbi eran soverchi in allora facenti uso di astringenti ed antimetrici. ..... Insomma è scopo ripeterlo, la cura razionale dovrà modificarsi secondo le individuate circostanze come cura profilattica poi somministrassi il chinino a piccolissime dosi e lo alcool saturato di canfora il quale egregiamente giovava sedare i sintomi nervosi. Dal 10 dicembre 1866 al 25 febbraio 1877, per l’imperversare dell’epidemia, le sepolture venivano effettuate, nella quasi totalità, sulla collina S. Francesco. Da un bollettino inviato dal Prefetto al Sindaco di Favara il 28 marzo 1868, risultava che dal 7 dicembre 1866 al 10 febbraio 1867 il colera aveva colpito 1.199 persone di cui 566 maschi e 633 femmine e di queste 836 erano guarite e 363 morte. Il periodo più devastante per gli attacchi aveva inizio nella seconda metà del mese di dicembre 1866 fino alla prima metà del mese successivo. Quello relativo al maggior numero di decessi andava dai primi giorni del mese di gennaio 1867 all’inizio di febbraio. Con lettera del 2 giugno 1867 l’arciprete Antonino Salvaggio comunicava al vicario capitolare su come tutti i preti facevano a gomitate per confessare solo donne e gridavano, strepitavano se non gli si dava facoltà. In quanto poi all’aiuto da dare agli infermi, uno dei due cappellani sacramentali disponibili risultava attaccato da colera, mentre l’altro da solo era costretto ad amministrare la confessione ed il viatico. L’arciprete Salvaggio da tempo sollecitava i rettori delle chiese sacramentali e nessuno si prestava, tutti fuggivano, non si recitava più officio, non si udivano altro che grida. La seconda invasione colerica perdurava 62 giorni, dal 10 maggio al 10 luglio 1867 ed attaccava 959 persone, di cui 517 guarivano e 442 morivano, con maggior numero di attacchi e morti tra la fine di giugno e l’inizio della seconda metà di luglio. Le due invasioni coleriche in totale, dal 7 dicembre 1866 al 10 luglio 1867, attaccavano 2.158 persone, provocando 805 vittime. Dai libri dei defunti della madrice emerge che contro una media di circa 400 decessi all’anno in quel periodo, nell’anno 1867 perivano 1.189 persone, di cui 784 per colera e 405 per altre cause. Tra gli ufficiali ed agenti di P. S. della Prefettura che si erano distinti nei mesi di aprile, maggio e giugno 1867 veniva menzionato il l’appuntato Matteo Mingo, residente in Favara: ….. Questo solerte funzionario non appena il fatal morbo si fece sentire in paese si gettò corpo ed anima in mezzo ai colerosi e fu ben presto colpito anch’esso. Lottò con la morte che vinse, e ricominciò l’opera tralasciata con maggiore fervore. Il 30 luglio 1867 la Commissione Sanitaria Municipale di Favara dichiarava il Comune di Favara libero dal colera. Con lettera del dì 8 ottobre 1867 il Prefetto sollecitava il Sindaco di Favara cav. Gerlando Vaccaro a verificare se fossero stati esumati clandestinamente cadaveri dal cimitero sulla collina S. Francesco e trasportati in altre chiese. Il giorno successivo il Sindaco Vaccaro, in compagnia del maresciallo dei carabinieri Carlo Settimo Poletti e le RR. truppe, assieme alle guardie municipali si recavano nel largo piazza (piazza Cavour) e qui veniva ordinato di circuire le chiese sospette. Iniziate le opportune verifiche, si portavano dapprima nella chiesa del Purgatorio e con l’ausilio di quattro becchini veniva aperta la tomba più vicina all’altare maggiore, ove veniva rinvenuta una cassa con all’interno un cadavere che, secondo la dichiarazione dei becchini Alfonso Santamaria e Giuseppe Barba, era di una persona morta da circa quattro mesi. Nulla di illecito veniva rinvenuto nelle altre tombe. Interrogato il sagrestano Antonio Licata, questo dichiarava esistere un cadavere portato nel tempo proibito, di cui ignorava l’identità e di cui ne erano a conoscenza il sacerdote beneficiale Pietro Avenia ed il custode del cimitero Antonio Presti Citillo. Analizzata la questione, per il Sagrestano veniva ordinato l’arresto. Il sac. Avenia si rendeva irreperibile. Veniva verificata anche la chiesa dell’Itria, allora distante dall’abitato circa trecento metri. Giunti sul luogo veniva fatto svellire il pavimento in un punto di recente rifatto e sotto l’ammattonato venivano rinvenute due casse. Veniva quindi interrogato il custode della chiesa Salvatore Scibetta, il quale affermava che un giorno non molto lontano, il custode del cimitero Presti Citillo gli aveva offerto quattro onze per dare sepoltura all’interno della chiesa al corpo del sac. Giuseppe Dulcetta ed altre onze due per quello di d. Mariano Pardo e che il rettore di detta chiesa era ignaro di tutto ciò, anzi da tempo cercava di prevenire simili reati. A seguito di quanto accaduto Scibetta veniva arrestato e sospettando che le due persone sepolte clandestinamente fossero perite per morbo colerico, non si procedeva subito alla esumazione. Il custode del cimitero Antonio Presti Citillo si rendeva latitante, ma veniva arrestato il di lui figlio, sospettato di complicità, per trasporto clandestino di cadaveri. Con opportuni accertamenti veniva appurato che i suddetti Dulcetta e Pardo erano morti per morbo colerico, per tal motivo sia le bare che i corpi venivano cosparsi di calce viva. Ispezionate tutte le tombe delle altre chiese, non si rinveniva traccia alcuna di reato. Il 30 novembre 1867, su proposta dei consiglieri barone Antonio Mendola e dr. Gerlando Giudice, il Consiglio all’unanimità, facendosi interprete dei servizi di gratitudine della popolazione, con profonda riconoscenza esprimeva un voto di encomio e di benemerenza in favore del sindaco Gerlando Vaccaro (v. foto) e della Giunta per la condotta operosissima e benefica tenuta durante i luttuosi ed infelici giorni del colera e detto deliberato veniva fatto pervenire alle autorità superiori. In data 9 marzo 1868 il cappellano della chiesa dell’Itria sac. Francesco Giudice volendo rifare il pavimento con mattoni stagnati di Napoli e conscio della presenza dei due cadaveri ivi clandestinamente tumulati, chiedeva al sindaco su come doveva regolarsi, se provvedere semplicemente a fare abbassare gli alloggiamenti delle casse mortuarie od alla costruzione di apposite sepolture per il loro sotterramento. Detta richiesta destava notevole confusione al sindaco, il quale dopo avere interpellato il prefetto riuniva la Commissione Sanitaria per appurare eventuali possibilità di contagio. Altra scoperta inquietante di sepoltura clandestina veniva fatta l’8 giugno 1868. Era una mattina come le altre per il sagrestano dell’oratorio del SS. Crocifisso il quale dopo avere aperto la porta della chiesa si accorgeva che la lastra di chiusura della cripta era stata da poco murata e nelle vicinanze scorgeva un recipiente di creta con all’interno del gesso impastato di recente. Insospettito chiamava l’arciprete Antonino Salvaggio, il quale prontamente informava il pretore e, alla presenza di due medici, della guardia di P. S. e dei carabinieri faceva aprire la fossa. Per l’ispezionamento scendevano il mastro muratore Domenico Lentini e due becchini i quali rinvenivano i resti mortali di un uomo con veste di sacerdote avvolto in un lenzuolo recante le iniziali S. C. D., morto da qualche tempo e con molta evidenza esumato. Considerate le esperienze passate i sanitari ritennero opportuno prima di rimuoverlo, accertarne le cause della morte e la provenienza. L’arciprete supponeva che il cadavere fosse stato nottetempo introdotto in chiesa da una porticina poco conosciuta dalla popolazione, aperta regolarmente con chiave ed i sospetti ricadevano sul becchino Alfonso Santamaria il quale veniva sorpreso a dormire dalle guardie di P. S. alle ore 12, probabilmente per la notte passata insonne. Dopo varie ricerche l’autorità giudiziaria accertava l’identità del cadavere appartenente al frate carmelitano Calogero Dulcetta. Per disposizione del sindaco e dietro parere dei medici condotti, in giornata la salma veniva riposta in una cassa ben chiusa, ricolma di calce viva e trasportata al cimitero provvisorio sulla collina S. Francesco. Nel frattempo sulla collina S. Francesco si scavavano chilometri di fossati per la sepoltura.
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Elenco di persone colpite dal colera, di quelle guarite e di quelle morte.
Cognome e nome
Stato civile
Età
Professione
data contraz.
Esito
anni
colera Abbate Calogero coniugato 33 zolfataio 29-12-1866 guarito Abbate Carmela nubile 15 21-12-1866 guarita Abbate Maria 23 5-6-1867 morta Abbate Mariantonia 20 3-1-1867 guarita
Acciardone Giuseppe
celibe
18
zolfataio
31-1-1867
guarito Affuso Michele coniugato 27 8-6-1867 morto
Agliata Antonio
coniugato
51
industrioso
16-6-1867
morto
Agliata Francesco
coniugato
49
zolfataio
17-12-1866
guarito
Agliata Francesco
44
zolfataio
4-6-1867
morto
Agliata Giuseppe
coniugato
44
zolfataio
24-12-1866
guarito Agolino Vincenzo vedovo 61 contadino 18-12-1866 guarito
Agrò Giovanna
nubile
30
domestica
11-6-1867
morta
Agrò Giuseppe
vedovo
53
31-5-1867
morto
Agrò Salvatore
23
zolfataio
9-6-1867
morto Airò Biagio 32 crivellatore 28-5-1867 morto Airò Calogera 7 27-12-1866 guarita Airò Carmelo coniugato 40 zolfataio 27-6-1867 morto Airò Francesca nubile 18 17-1-1867 guarita Airò Francesca nubile 28 16-1-1867 guarita Airò Michele coniugato 44 zolfataio 6-1-1867 guarito Airò Salvatore coniugato 41 calzolaio 20-12-1866 guarito Airò Salvatore vedovo 41 zolfataio 20-12-1866 guarito
Alaimo Alfonso
vedovo
36
contadino
6-6-1867
morto
Alaimo Angela
7
29-1-1867
guarita
Alaimo Baldassare
celibe
19-12-1866
guarito
Alaimo Calogera
coniugata
35
contadina
23-6-1867
morta
Alaimo Calogero
coniugato
53
zolfataio
8-1-1867
guarito
Alaimo Carmela
mesi 1
21-12-1866
guarita
Alaimo Francesca
vedova
60
filatrice
18-12-1866
guarita
Alaimo Giuseppe
coniugato
59
contadino
7-12-1866
guarito
Alaimo Maria
coniugata
41
contadina
10-12-1866
guarita
Alaimo Matteo
coniugato
29
zolfataio
10-1-1867
guarito
Alaimo Rosa
coniugata
45
24-12-1866
guarita
Alaimo Salvatore
14
zolfataio
6-1-1867
guarito
Alaimo Salvatore
28
zolfataio
15-6-1867
morto
Alaimo Salvatore
coniugato
25
contadino
16-6-1867
morto
Alaimo Vincenzo
coniugato
59
contadino
30-12-1866
guarito
Alaimo Vincenzo
coniugato
43
industrioso
14-6-1867
morto Alauria Giuseppa coniugata 53 29-5-1867 morta
Alba Antonio
vedovo
90
contadino
8-1-1867
guarito
Alba Calogera
3
20-1-1867
guarita
Alba Gaetano
giorni 20
25-12-1866
guarito
Alba Marianna
mesi 10
povera
18-6-1867
morta
Alba Rosalia
vedova
71
filatrice
31-12-1866
guarita
Alba Rosario
coniugato
53
contadino
27-5-1867
morto
Alba Salvatore
celibe
27
contadino
30-12-1866
guarito
Alba Vito
coniugato
50
contadino
30-12-1866
guarito
Alba Vito
coniugato
44
contadino
14-6-1867
morto Albano Calogero 3 7-1-1867 guarito
Albergamo Maria Teresa
5
agiata
18-6-1867
morta Alcamisi Carmelo coniugato 44 bordonaro 21-6-1867 morto Alcamisi Rosa vedova 41 industriosa 13-1-1867 guarita Alcamisi Rosalia nubile 20 5-2-1867 guarita
Alfano Gaspare
celibe
22
contadino
8-6-1867
morto Alletti Antonio coniugato 21 14-1-1867 guarito Alletti Maria Stella vedova 61 civile 8-1-1867 guarita Alletti Michele celibe 21 civile 7-1-1867 guarito Alletti Pasquale 27 2-6-1867 morto
Alona Calogero
41
zolfataio
13-6-1867
morto Alonge Agata coniugata 36 12-1-1867 guarita Alonge Agata coniugata 36 possidente 12-1-1867 guarita Alonge Agata vedova 70 23-1-1867 guarita Alonge Carmela nubile 30 domestica 9-1-1867 guarita Alonge Francesco coniugato 28 contadino 28-12-1866 guarito Alonge Giovanna coniugata 46 21-12-1866 guarita Alonge Giuseppa vedova 41 contadina 2-1-1867 guarita Alonge Giuseppa coniugata 25 contadina 11-1-1867 guarita Alonge Luigi coniugato 37 Bordonaro 10-6-1867 morto Alonge Maria vedova 40 filandaia 11-1-1867 guarita
Amato Croce
coniugata
40
contadina
1-1-1867
guarita
Amato Salvatore
3
3-1-1867
guarito Amella Croce coniugata 54 31-12-1866 guarita
Amico Antonia
coniugata
20
industriosa
6-6-1867
morta
Amico Antonino
coniugato
18
zolfataio
4-6-1867
morto
Amico Antonio
3
4-1-1867
guarito
Amico Antonio
coniugato
40
muratore
4-2-1867
guarito
Amico Antonio
63
negoziante
31-5-1867
morto
Amico Calogero
celibe
21
borgese
6-1-1867
guarito
Amico Calogero
3
12-1-1867
guarito
Amico Calogero
26
civile
7-6-1867
morto
Amico Carmela
coniugata
25
trafficante
2-7-1867
morta
Amico Carmelo
30
muratore
10-6-1867
morto
Amico Francesco
40
notaio
2-6-1867
morto
Amico Giovanna
nubile
24
31-5-1867
morta
Amico Giuseppa
vedova
31
26-5-1867
morta
Amico Giuseppa
nubile
45
13-6-1867
morta
Amico Giuseppe
coniugato
38
contadino
9-6-1867
morto
Amico Salvatore
coniugato
60
31-5-1867
morto
Amico Santo
celibe
40
sacerdote
4-6-1867
morto
Amico Vincenza
16
contadina
23-5-1867
morta Andreoli Mario coniugato 64 stagnataro 28-6-1867 morto
Antinoro Anna
41
industriosa
4-6-1867
morta
Antinoro Gesua
9
povera
12-6-1867
morta
Antinoro Rosaria
coniugata
43
25-12-1866
guarita
Antinoro Salvatore
celibe
21
domestico
28-12-1866
guarito Antonuzzo Giuseppa coniugata 23 sarta 18-1-1867 guarita Antonuzzo Gaetana mesi 1 5-2-1867 guarita Antonuzzo Giuseppa nubile 27 sarta 10-6-1867 morta Antonuzzo Giuseppe coniugato 31 zolfataio 10-6-1867 morto Antonuzzo Rosario coniugato 63 sarto 22-1-1867 guarito Antonuzzo Rosario 71 sarto 22-5-1867 morto Antonuzzo Rosario 61 sarto 12-6-1867 morto
Aprile Giuseppe
coniugato
12
21-12-1866
guarito Aquilina Calogero 7 30-1-1867 guarito
Aragona Rosa
coniugata
43
industriosa
30-5-1867
morta Arancio Antonia 9 28-12-1866 guarita Arancio Antonio 36 11-12-1866 guarito Arancio Giuseppe vedovo 31 contadino 2-6-1867 morto Arancio Giuseppe celibe 37 zolfataio 4-6-1867 morto Arancio Margherita 66 possidente 4-6-1867 morta Arancio Maria vedova 37 industriosa 24-6-1867 morta
Arcadipane Concetta
28
25-5-1867
mortoa
Arcadipane Diego
46
zolfataio
18-6-1867
morto
Arcadipane Giuseppa
1
povera
16-6-1867
morta Argento Calogero coniugato 45 macellaio 23-6-1867 morto Argento Caterina vedova 84 industriosa 1-6-1867 morta Argento Salvatore 13 31-5-1867 morto
Arnone Antonina
coniugata
51
contadino
16-12-1866
guarita
Arnone Carmela
nubile
13
7-6-1867
morta
Arnone Carmelo
7
26-12-1866
guarito
Arnone Carmelo
11
contadino
28-1-1867
guarito
Arnone Domenico
celibe
28
civile
8-6-1867
morto
Arnone Domenico
celibe
59
civile
26-6-1867
morto
Arnone Gaetana
celibe
75
19-12-1866
guarita
Arnone Gaetana
3
23-12-1866
guarita
Arnone Giuseppa
9
4-1-1867
guarita
Arnone Luciano
2
9-1-1867
guarito
Arnone Maria
coniugata
29
contadina
30-12-1866
guarita
Arnone Michele
celibe
34
sacerdote
15-12-1866
guarito
Arnone Salvatore
coniugato
38
zolfataio
26-12-1866
guarito
Arnone Serafina
coniugata
42
contadina
20-1-1867
guarita Asta Giuseppa 5 29-1-1867 guarita
Attanasio Angela
coniugata
47
civile
8-7-1867
morta
Attanasio Rosalia
coniugata
31
civile
2-6-1867
morta Attardo Angelo celibe 25 zolfataio 4-6-1867 morto Attardo Antonio coniugato 50 contadino 11-1-1867 guarito Attardo Giuseppe coniugato 53 industrioso 8-6-1867 morto Attardo Onofrio coniugato 51 contadino 24-12-1866 guarito Attardo Onofrio coniugato 24 contadino 30-5-1867 morto Attardo Teresa coniugata 51 filandaia 30-5-1867 morta Attardo Vincenza coniugata 61 contadino 19-12-1866 guarita Attardo Vincenza coniugata 30 6-1-1867 guarita Attardo Vincenza vedova 45 industriosa 24-1-1867 guarita Attardo Vincenza 45 30-5-1867 morta
Aucello Croce
vedova
61
industriosa
20-6-1867
morta
Aucello Gerlanda
coniugata
33
industriosa
5-1-1867
guarita
Aucello Gerlanda
coniugata
28
industriosa
5-6-1867
morta
Aucello Maria
coniugata
44
5-1-1867
guarita
Augello Adriana
13
12-12-1866
guarita Avenia Angelo 2 9-1-1867 guarito Avenia Angelo 25 7-6-1867 morto Avenia Calogera vedova 60 civile 21-6-1867 morta Avenia Libertino 54 contadino 30-5-1867 morto
Azzaretto Antonino
4
8-12-1866
guarito
Azzaretto Antonio
33
zolfataio
3-1-1867
guarito
Azzaretto Gerlando
3
9-12-1866
guarito B
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