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Memorie storiche di Favara di Carmelo Antinoro SEPOLTURE E CIMITERI |
Le sepolture nelle chiese
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Da tempo immemorabile a Favara, come in altri luoghi, i cadaveri venivano seppelliti all'interno di chiese od in prossimità di luoghi consacrati per la presenza di reliquie di beati e/o martiri. Col passare degli anni, a causa della crescita demografica, le sepolture individuali in certi casi divennero tombe collettive. Molte delle famiglie facoltose possedevano all'interno delle chiese tombe gentilizie costituite da fosse a pavimento con relativi epitaffi. Nella prima metà del 1800 nella sola chiesa madre di Favara se ne contavano 95 appartenenti ad altrettante famiglie con titolo di patronato (fra queste le famiglie Cafisi, Mendola e Licata), oltre a due tombe collettive di patronato delle due congregazioni della Madonna della Pietà e della Santa Benedizione. A Favara si hanno notizie di chiese utilizzate come cimiteri a partire dal 1580 e quelle maggiormente in uso in quel periodo erano quella di S. Nicolò, nell'omonimo quartiere, e quella di S. Rocco nel quartiere S. Antonio, contrada Giarritella, caduta in rovina nella metà del 1800. Si legge nei libri defunctorum dell'antica chiesa Madre: die trentesimo julij 1564 - morsi lu figlio di ioseppi russo e fu sepulto in la ecclesia di santo nicolao di la favara; die 23 julij 1584 - morsi antonella muglieri di cola vicari et fui sepultain la ecclesia di santo rocco; die 5 junij 1592 - laurenzu lu hospitali morsi ni la terra di la favara et fu seppellutuni la devota ecclesia di santu nicola; die 12 jusdej 1600 - angilo di sutera fui morto e sepelito nella detta confraternita di sancto rocco di questa terra di la favara. Gli antichi non disdegnavano le sepolture anche all'interno delle chiese dell'Itria, Madrice, Carmine, S. Antonino, S. Lucia e S. Francesco. Nel mese di giugno 1593 qualche sepoltura venne effettuata nella chiesa S. Calogero Peregrino extra moenia (extra moenia, nel caso di Favara, indica fuori dalla cinta abitata e non fuori le mura). La prima sepoltura all'interno della prima chiesa del SS. Rosario risale al die 12 iunj 1600 - ninfa figlia di m.ro ...... cappello morsi et fu sepelita nella devota ecclesia di lo rosario di questa terra di la favara. Frequentemente si riscontra nei registri dei decessi la parola spitali, ospitali, etc., associata alla chiesa S. Nicolò: die 8 maj 1600 - margarita lamodica morsi e fu sepellita nella devota ecclesia di lo ospitali di questa terra. Esisteva, infatti, un ospedaletto attaccato alla chiesa S. Nicolò. A partire dall'anno 1613 le sepolture nelle chiese S. Nicolò e S. Rocco vennero effettuate con minore frequenza e nel contempo cominciò ad essere utilizzata la ecclesia Majori Maria Assunpta et S.ta Victoria (chiesa madre) ed in misura minore la chiesa del SS. Rosario. Nella prima metà del 1600 la Sicilia veniva devastata dalla peste bubbonica. Tra la seconda metà del mese di novembre 1625 e la fine agosto 1626 la peste faceva diverse vittime in Favara. Spesso, per la difficoltà e confusione scaturente dal pericolo di morte incombente per i neonati, facevano da madrine le poche ostetriche che il quel periodo praticavano il parto. Durante questo triste periodo quasi tutti i neonati vennero chiamati Libertino e Rosalia. A Favara tra il 16 dicembre 1625 ed il 6 luglio 1626 si registrarono 103 decessi per morbo contagioso ed i corpi furono inumati sulla collina S. Francesco, nella terra a sud-est dell'attuale piazzale, che nel corso dei secoli assunse il triste nome di terra dei morti. Cessata la peste i magistrati municipali eressero nella pubblica piazza del paese una chiesetta che dedicarono a S. Rosalia protettrice degli appestati, dove la prima sepoltura risale al 9 gennaio 1628. La prima sepoltura nella cinquecentesca chiesa di Maria SS. della Grazia della Portella (meglio conosciuta come Grazia vicina) risale al die 23 7bris 1629 - Joseph f. vin.zu di....mortuus et sep. in ecc.a s. mariae graziae. Furono effettuate pure sepolture nella chiesa di S. Rosalia subito dopo la costruzione, ma non si può certo dire che sia stata una chiesa-cimitero come lo sono state quelle di S. Nicolò, S. Rocco, SS. Rosario e soprattutto la madrice. Nella chiesa del Purgatorio risultano sepolti il notaio Grazio Cafisi e l'aromatario (farmacista o erborista) Biagio Mendola, i capostipite delle relative progenie a Favara. Dal 1711 quasi tutte le sepolture vennero effettuate nella chiesa Madre e nell'annesso oratorio del SS. Crocifisso. Con il trascorrere degli anni, in particolare nel 1743, anche la nuova chiesa dedicata a Maria SS. del Rosario diventò meta privilegiata per i morti ed in misura poco rilevante la chiesa del Carmine, fino al 1759. Da quest'ultimo anno in poi le sepolture continuarono a praticarsi quasi totalmente nella chiesa madre ed in quella del SS. Rosario. Dal 1760 alla prima metà del 1800 di rado vennero menzionate nei libri defunctorum le chiese dell'Itria, S. Nicolò, S. Rocco ed altre. Sporadicamente vennero utilizzate quelle del Carmine, del Purgatorio e l'oratorio del SS. Crocifisso. Nei primi mesi del 1828 cominciarono ad evidenziarsi incertezze sulla scelta delle chiese, si alternarono in maniera confusa quelle del SS. Rosario, del Carmine, la madrice e, in qualche caso, quella del Purgatorio, finché, a partire dal 18 giugno 1830 e fino al 10 gennaio 1831, le sepolture vennero effettuate ininterrottamente nella cinquecentesca ed ormai scomparsa chiesa di S. Francesco, sull'omonima collina. Dal 13 gennaio 1831 i cadaveri vennero seppelliti nella chiesa del Carmine ed in svariati casi in quella di nostra Signora della Trapassione (meglio conosciuta come chiesa della Madonna del Transito), dove la prima sepoltura risale al 26 gennaio 1831, con tendenza esclusiva verso quest'ultima fino alla metà del mese di marzo, con successivi intervalli con la chiesa del Carmine dal mese di agosto, con la chiesa madre nel mese di novembre e poi nuovamente con quella del Carmine. In quest'ultima chiesa le sepolture avvennero con tale frequenza che le continue esalazione cadaveriche furono oggetto di lamentele e discussioni da parte degli amministratori. Nonostante tutto, fino al 4 agosto 1833 i cadaveri vennero seppelliti in questa chiesa. Dal 5 agosto 1833 le sepolture vennero effettuate quasi esclusivamente nella chiesa di S. Francesco. Per tale occasione, alla fine di agosto il sindaco faceva eseguire lavori di manutenzione nelle sepolture nella stessa chiesa, dotandole delle mancanti lapidi. Come evidenziato nei registri di bilancio comunale nella prima metà del 1800 il servizio di traslazione dei resti mortali dalle cripte delle chiese avveniva ogni tre anni e successivamente le ossa venivano accumulate in fosse comuni sotto le stesse chiese o probabilmente in altri luoghi. Nella chiesa madre le fosse erano talmente piene che, per creare ulteriore spazio, le ossa dei poveri estinti venivano pestate.
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Il colera del 1837 e 1867 Il cimitero sulla collina S. Francesco
Cripte della chiesa del SS. Rosario
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La drammatica storia del colera aveva inizio nell'anno 1817 a Jessora, poi si propagava a Calcutta. Negli anni seguenti il morbo si sviluppava nei paesi occidentali con tendenza verso l'Europa. Nel 1830 penetrava in Russia, poi in Polonia, Austria e Germania. Nella seconda metà del 1831 si sviluppava in Inghilterra e nel 1832 a Parigi. Nello stesso anno invadeva l'America settentrionale e nel 1833 arrivava in Messico. Nell'inverno del 1833 raggiungeva il Portogallo e la Spagna dove faceva stragi specialmente a Siviglia, Madrid e Barcellona. Dalle coste spagnole si propagava a Marsiglia e Tolone e nel 1835 arrivava in Italia colpendo Genova. Da qui penetrava in Lombardia, Piemonte, Toscana ed in altre Regioni. Malta perdeva il 40% degli abitanti. Nel 1836 attaccava lo Stato Pontificio e il napoletano. Nell'estate del 1837 il flagello arrivava in Sicilia consumando stragi non indifferenti. A Palermo non vi fu famiglia con i propri morti; nel solo mese di luglio se ne contarono 22.707. Il morbo asiatico non risparmiava sesso, età e ceto sociale. La strage fu talmente catastrofica che il trasporto e la sepoltura dei cadaveri divenne in certi casi impossibile e i corpi senza vita nei giorni maggiormente ferali venivano gettati anche dai balconi. Le grandi fosse del cimitero di Santo Spirito presto si riempirono e fino al 20 luglio vi furono ammucchiati 22.290 cadaveri. Nel 1837 la situazione delle sepolture nel Comune di Favara era divenuta insostenibile. Le cripte della chiesa di S. Francesco erano talmente piene da non poter ospitare più cadaveri, tanto che i corpi degli estinti rimanevano insepolti sul pavimento della stessa chiesa, con possibile nocumento per la salute pubblica. Il Sindaco e la Decuria erano lungi dal concretizzare atti procedurali per la costruzione del cimitero e dopo svariate discussioni intravidero la possibilità di utilizzare un giardinello confinante con la preesistente chiesa dei frati francescani. Stante l'urgenza del caso, ancora prima di procedere all'acquisto, si dava disposizione sull'utilizzo immediato di una grande cisterna interrata esistente all'interno di detto giardino (l'antica cisterna di approvvigionamento idrico dei frr. francescani) per la discarica dei cadaveri e presto veniva trasformata in immane fossa comune. Faceva, inoltre, cospargere i cadaveri, situati in detta chiesa, di calce viva. Nel mese di giugno 1838 il proprietario del giardino reclamava al sindaco il pagamento della cisterna già utilizzata come sepolcro. Con disposizione del 19 dicembre 1838 nella cisterna venivano scaricati altri cadaveri. Intanto nel 1838 il morbo colerico sembrava volere abbandonare la martoriata Favara, tanto che, cessata la frequenza dei morti, il sindaco manifestava le proprie intenzioni di non voler più acquistare il giardinello con relativa cisterna e, semmai, pagare al proprietario soltanto le spese della poca frutta perduta. Ma le intenzioni del sindaco non piacquero alla controparte che si è rivolto all'autorità giudiziaria. Sul finire del 1839, dopo svariati contrasti, la Decuria decideva l'acquisto del giardinello con relativa cisterna che, con grande lungimiranza, pensava di utilizzare ancora come fossa comune fino a quando non si fosse provveduto alla costruzione del campo santo. Mentre sindaco e decurioni chiacchieravano su come affrontare le annose problematiche del campo santo, fra la gente comune cominciavano a nascere malumori, poiché si vedeva costretta a pagare una angarica tassa da parte dei parroci delle chiese per la sepoltura dei congiunti, come diritto di congrua e di stola nera, per l'accesso alla chiesa e la benedizione. Nel 1841 l'intendente sollecitava al sindaco l'appalto delle opere del cimitero, per la cui realizzazione si era individuato il pianoro di S. Francesco, ma i debiti arretrati non permettevano i lavori. Nel frattempo le chiese, incessantemente, venivano utilizzate per il seppellimento dei defunti, in barba all'igiene pubblica, al pericolo di epidemie ed alle leggi e regolamenti vigenti. Ma la questione annosa del camposanto non trovava la giusta e definitiva soluzione giacché la Decuria ancora una volta metteva in evidenza di come nel frattempo potevano essere utilizzati il convento del Carmine e la chiesa del Transito perché dotati di tutte quelle precauzioni necessarie per la salute pubblica, perché muniti di sepolcri situati in luoghi eccentrici e dei regolari suffragi. Nel mese di luglio 1865 veniva riconosciuta l'esistenza del morbo colerico nella città di Ancona e gli allarmismi, a ragione, non cessarono. L'imbarcazione italiana Vincenzino, proveniente da Malta, con varie merci a bordo, che per un incidente era stata ormeggiata a Tripoli ed aveva necessità di fare tappa a Porto Empedocle, il 28 ottobre 1865, trovava resistenza da parte del primo cittadino, il quale chiedeva al prefetto che fosse ancorata in altra località dotata di lazzaretto. Il 7 dicembre 1866 si manifestava il primo caso di colera a Favara. La pietà ed il ritenere sacri i cimiteri nel periodo anteriore e durante il cristianesimo con il passare degli anni purtroppo trascese in fanatismo religioso che portò gli esseri umani a seppellire i congiunti nelle chiese, con danno per i viventi. Avveniva spesso che i micidiali miasmi che fuoriuscivano dalle fosse durante la decomposizione dei cadaveri erano causa di inconvenienti soprattutto durante le epidemie. Dal 10 dicembre 1866 al 25 febbraio 1877, per l'imperversare dell'epidemia, le sepolture vennero effettuate, nella quasi totalità, sulla collina S. Francesco. Da un bollettino inviato dal prefetto al sindaco di Favara il 28 marzo 1868, risultava che dal 7 dicembre 1866 al 10 febbraio 1867 il colera aveva colpito 1.199 persone di cui 566 maschi e 633 femmine e di queste 836 erano guarite e 363 morte. Il periodo più devastante ebbe inizio nella seconda metà del mese di dicembre 1866 fino alla prima metà del mese successivo. Quello relativo al maggior numero di decessi avvenne dai primi giorni del mese di gennaio 1867 all'inizio di febbraio. Con lettera del 2 giugno 1867 l'arciprete Antonino Salvaggio comunicava al vicario capitolare su come tutti i preti facevano a gomitate per confessare solo donne e gridavano, strepitavano se non gli si dava facoltà. In quanto poi all'aiuto da dare agli infermi, uno dei due cappellani sacramentali disponibili risultava attaccato da colera, mentre l'altro da solo era costretto ad amministrare la confessione ed il viatico. L'arciprete Salvaggio da tempo sollecitava i rettori delle chiese sacramentali e nessuno si prestava, tutti fuggivano, non si recitava più officio, non si udivano altro che grida. La seconda invasione colerica perdurava 62 giorni, dal 10 maggio al 10 luglio 1867 ed attaccava 959 persone, di cui 517 guarivano e 442 morivano, con maggior numero di attacchi e morti tra la fine di giugno e l'inizio della seconda metà di luglio. Le due invasioni, in totale, dal 7 dicembre 1866 al 10 luglio 1867, attaccavano 2.158 persone, provocando 805 vittime. Dai libri defunctorum emerge che, contro una media di circa 400 decessi all'anno in quel periodo, nell'anno 1867 perivano 1.189 persone, di cui 784 per colera e 405 per altre cause. Il 30 luglio 1867 la Commissione sanitaria municipale di Favara dichiarava il Comune libero dal colera. Il 6 agosto 1867, dopo vari reclami per le forti esalazioni cadaveriche scaturenti dal campo santo provvisorio sulla collina S. Francesco, il prefetto inviava una Commissione sanitaria per la scelta di un altro locale che meglio rispondesse ai requisiti di buon cimitero. La scelta ricadeva su alcuni appezzamenti di terreno in contrada Monsù, ma venne fortemente contrastata oltre che dai proprietari dei terreni e di quelli confinanti, anche dal Consiglio comunale. Talmente radicato era il fanatismo che non mancarono casi di esumazione clandestina di cadaveri dal cimitero sulla collina S. Francesco e relativo trasportato in altre chiese. Iniziate le opportune verifiche, l'arciprete e le forze dell'ordine si portavano dapprima nella chiesa del Purgatorio e con l'ausilio di quattro becchini veniva aperta la tomba più vicina all'altare maggiore, ove veniva rinvenuta una cassa con all'interno un cadavere che, secondo la dichiarazione dei becchini, era di persona morta da circa quattro mesi. Interrogato il sagrestano dichiarava esistere un cadavere portato nel tempo proibito, di cui ignorava l'identità e di cui ne erano a conoscenza il sacerdote beneficiale ed il custode del cimitero. Analizzata la questione, per il sagrestano veniva ordinato l'arresto, mentre il sacerdote si rendeva irreperibile. Veniva verificata anche la chiesa dell'Itria, dove sotto il pavimento in un punto di recente rifatto, venivano rinvenute due casse. Veniva quindi interrogato il custode della chiesa il quale affermava che un giorno non molto lontano, il custode del cimitero gli aveva offerto quattro onze per dare sepoltura all'interno della chiesa al corpo del sac. Giuseppe Dulcetta ed onze due per quello di don Mariano Pardo, il tutto all'insaputa del rettore della chiesa che da tempo cercava di prevenire simili reati. Sospettando che le due persone sepolte clandestinamente fossero perite per morbo colerico, non si procedeva subito alla esumazione. Il custode del cimitero si rendeva latitante, ma veniva arrestato il di lui figlio, sospettato di complicità, per trasporto clandestino di cadaveri. Con opportuni accertamenti veniva appurato che i suddetti Dulcetta e Pardo erano morti per morbo colerico, per tal motivo sia le bare che i corpi vennero cosparsi di calce viva. Ispezionate tutte le tombe delle altre chiese, non si rinveniva traccia alcuna di reato. Il 30 novembre 1867, su proposta dei consiglieri barone Antonio Mendola e dr. Gerlando Giudice, il Consiglio all'unanimità, facendosi interprete dei servizi di gratitudine della popolazione, con profonda riconoscenza esprimeva un voto di encomio e di benemerenza in favore del Sindaco Gerlando Vaccaro e della Giunta per la condotta operosissima e benefica tenuta durante i luttuosi ed infelici giorni del colera e detto deliberato veniva fatto pervenire alle autorità superiori. Altra scoperta inquietante di sepoltura clandestina veniva effettuata l'8 giugno 1868. Di mattina il sagrestano dell'oratorio del SS. Crocifisso (dove ora sorge la madrice) si accorgeva che la lastra di chiusura della cripta era stata da poco murata e nelle vicinanze scorgeva un recipiente di terracotta con all'interno del gesso impastato di recente. Insospettito chiamava l'arciprete Salvaggio, il quale prontamente informava il pretore e, alla presenza di due medici, della guardia di pubblica sicurezza e dei carabinieri faceva aprire la fossa. Per l'ispezionamento scendevano un mastro muratore e due becchini i quali rinvenivano i resti mortali di un uomo con veste sacerdotale, avvolto in un lenzuolo recante le iniziali S. C. D., morto da qualche tempo e con molta evidenza esumato. Considerate le esperienze passate i sanitari ritennero opportuno prima della rimozione, accertarne le cause della morte e la provenienza. Dopo varie ricerche l'autorità giudiziaria accertava l'identità del cadavere appartenente al frate carmelitano Calogero Dulcetta. Per disposizione del sindaco e dietro parere dei medici condotti, in giornata la salma veniva riposta in una cassa ben chiusa, ricolma di calce viva e trasportata al cimitero provvisorio sulla collina S. Francesco. Nel frattempo sulla collina S. Francesco si scavavano chilometri e chilometri di fossati.
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Il cimitero di Piana Traversa 1
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Nelle immagini sottostanti: la sezione di pregio facente parte del muro di cinta nord prima delle estumulazioni del 1996; due particolari decorativi di parasta con capitello ionico, cornici e trabeazione; in basso alcuni conci di risulta ammonticchiati alla rinfusa senza catalogazione, oggi non più esistenti.
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Nel 1869, per la scelta del terreno da servire all'impianto del cimitero la Prefettura inviava a Favara una commissione che sceglieva un luogo di terre in contrada Piana Traversa. Nel 1874 veniva approvato il progetto dell'ing. Amodei che prevedeva una spesa di lire 58.000 e si dava corso all'acquisizione dei terreni per la costruzione del nuovo impianto. I lavori si concludevano nel mese di dicembre 1876 e le spese occorse alla chiusura dell'esercizio finanziario del Comune di quell'anno ammontarono a lire 62.105 e 75 centesimi. Nel registro di bilancio di fine anno veniva scritto: Il compimento di questa grande opera, quant'unque riuscita molto pesante alla Comune, ciò non ostante ha riparato ad un grave difetto, di cui si sentiva troppo umiliata questa popolazione nel vedere i loro decessi privi di onorata sepoltura. Nel 1877 il Consiglio comunale deliberava il primo regolamento di polizia mortuaria. Il 28 febbraio 1877 nel cimitero di Piana Traversa veniva effettuata la prima sepoltura del corpo di Antonio Vaccaro, infante di quattro anni, figlio di Anna Dulcetta e dell'ex Sindaco e notaio Gerlando Vaccaro. Il 31 dicembre dello stesso anno moriva Gerlando Vaccaro. A seguito della ristrutturazione del cimitero avvenuta dopo circa quindici anni dalla fondazione, i resti mortali del Vaccaro venivano deposti in una sezione facente parte del muro di cinta nord, la più pregevole dal punto di vista artistico. La lapide (v. foto 3, assieme alle altre, veniva brutalmente distrutta dal Comune durante la esumazione dei resti cadaverici nell'estate del 1996. Nel 2003 l'Amministrazione comunale, in barba alle leggi di tutela, faceva demolire la pregevole sezione, facendo ammonticchiare alla rinfusa alcuni pezzi intagliati vicino al cancello d'ingresso della zona di recente ampliamento, su via Capitano Callea . Oggi non esistono neanche quei pochi pezzi, sicuramente riutilizzati come ordinaria muratura per la costruzione di nuove sezioni (v. raccolta di foto in coda all'art.). Originariamente nel cimitero di Piana Traversa, nella quasi totalità dei casi, le sepolture erano previste per inumazione, con fosse a terra. Nel 1884 per sgomberare la prospettiva del cimitero il Comune acquistava il terreno fra la strada principale (attuale via cap. Callea) e l'ingresso del cimitero.
Il cimitero di Piana Traversa all'inizio del 1900 (sx) e oggi (dx)
Il Cimitero di Piana Traversa visto da Caltafaraci
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Il cimitero Nuovo di contrada Sanfilippo l'abbandono di Piana Traversa e il riuso
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Il sepolcreto del cimitero "S. Antonio" detto "cimitero Nuovo" 3
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Il tempio neoclassico nel cimitero "Nuovo" del 1901 ca. 9
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A pochi anni dalla fondazione il cimitero di contrada Piana Traversa sembrava destinato a chiudere a seguito di paure sorte per possibili inquinamenti delle falde acquifere che alimentavano la fonte Giarritella. Nel 1885 infatti faceva nuovamente comparsa il morbo colerico, ma grazie a provvedimenti di isolamento, la Sicilia rimaneva, per certi versi, incolume. La triste esperienza del 1867 era ancora viva nella memoria di tante persone e nel 1885 il Consiglio comunale deliberava lire 3.540 e centesimi 47 come spesa straordinaria per fronteggiare la possibile comparsa del colera, con misure precauzionali per l'igiene pubblica e la nettezza delle strade, tanto che nell'estate di quell'anno non si segnalarono le frequenti febbri intermittenti che annualmente travagliavano tante persone. Nel 1885 si stabiliva di dare corso alla progettazione di un nuovo impianto cimiteriale in contrada Sanfilippo-Scorsone e veniva dato incarico ai periti comunali Salvatore Dulcetta ed Antonio La Russa. Nel 1861, tra i mesi di aprile e luglio, il Comune faceva esumare i resti mortali esistenti sulla collina S. Francesco e ne disponeva la collocazione nella cripta costruita sotto la navata della chiesa S. Antonio da Padova afferente il convento francescano (v. foto 1). Nel 1895, dietro incarico del prefetto, il medico provinciale e l'ingegnere delegato formulavano un lungo rapporto sulle condizioni igienico-sanitarie del cimitero di Piana Traversa, evidenziando l'impossibilità dell'inquinamento del bacino acquifero, data la profondità. Concludevano il verbale evidenziando che il cimitero poteva essere riaperto senza pregiudizi per la pubblica incolumità e che per ragioni di igiene era comunque augurabile l'adozione di tombe fuori terra. Riguardo alla valutazione sulla convenienza di un riuso pubblico dell'area del cimitero di Piana Traversa, dopo un decennio dall'abbandono, avvenuto nel 1891, venivano fatte diverse considerazioni da parte dell'Amministrazione comunale. Si rendeva necessario dissodare il terreno per raccogliere i resti mortali e trasportarli nel nuovo cimitero, raccogliere gli avanzi delle casse mortuarie e degli indumenti per bruciarli, con una spesa complessiva stimata di lire 15.876 che poteva facilmente ascendere a lire 20.000. C'era, poi, l'obbligo della presenza di un custode e della manutenzione del terreno, per renderlo decoroso ed impedire possibili profanazioni. Se dopo la bonifica si voleva vendere il fondo, non si poteva mai ricavare un capitale eguagliabile alla spesa prevista. Neanche restando nel demanio comunale poteva addirsi ad un uso tale da riuscire di pubblico vantaggio; non una villa, né un parco pubblico che, per la presenza della chiesa, delle alte mura di cinta, dei locali per la custodia momentanea dei morti e per le autopsie, aveva segnato quel luogo di tristi ricordi. Per tali considerazioni si pensava di utilizzarlo come una succursale del cimitero di c.da Sanfilippo (chiamato " cimitero nuovo"), destinandolo a sepolture private da costruire in tumoli o nicchie fuori terra. La riutilizzazione del cimitero di Piana Traversa ha avuto inizio, oltre che con la costruzione di sezioni a colombaia, con la vendita a privati di lotti di terra ai lati della chiesa ed a ridosso del muro di cinta nord, per la costruzione di gentilizie. Il risultato è stato quello della realizzazione di cappelle in pregevole stile neo-gotico-romanico e neo-classico, che da un lato hanno impreziosito l'aspetto architettonico-ambientale dell'impianto cimiteriale, dall'altro, però, ne hanno esaltato le differenziazioni sociali delle famiglie. Qualche sezione a colombaia, oggi sfugge alla furia devastatrice del Comune di Favara; solo qualche esemplare rimane (v. foto a sx). Una cosa curiosa va comunque detta: con il progresso e l'evoluzione antropica, la statura media dell'uomo, dai primi del 1900 ad oggi, ha subito un processo evolutivo notevole, per cui i loculi delle sezioni originarie risultano ormai insufficienti a soddisfare il fabbisogno di sepoltura. Si auspica, comunque, che di questo impianto di architettura funeraria, qualche esemplare venga conservato e tramandato ai posteri. La riutilizzazione del cimitero di Piana Traversa, contestualmente a quello "Nuovo" di contrada Sanfilippo-Scorsone ha accentuato la differenziazione del ceto sociale della popolazione favarese. La costruzione di loculi nel primo cimitero ha comportato dei costi per l'Amministrazione cittadina, costi che il Comune ha cercato di colmare caricandoli alle famiglie che chiedevano una sepoltura per un proprio congiunto. Nella prima metà del 1900 la maggior parte delle famiglie vivevano del poco raccolto che ricavavano dalle campagne e rappresentavano la maggioranza della popolazione, per cui si trovava costretta a far seppellire i propri congiunti nella nuda terra del cimitero "nuovo". Per questo motivo quest'ultimo venne chiamato "cimitero dei poveri". Purtroppo questo cimitero non ha mai avuto le giuste attenzioni da parte delle Amministrazioni che nel Comune di Favara si sono avvicendate. La chiesa, concepita, fuori da ogni schema comune, è una pregevole struttura assimilabile ad un tempio neoclassico aptero prostilo tetrastilo, purtroppo poco conosciuto.
Cappelle gentilizie dei primi del 1900 nel cimitero di Piana Traversa
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