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Memorie storiche di Favara di Carmelo Antinoro

CASTELLO CHIARAMONTE

 

1 - Il castello dei Chiaramonte

 

... Su questi muri si combatteva, ed ancor sulle torri, le quali un palmo e più sporgevan fuori dal muro della fortezza per dar luogo ad anguste scale interne che alla sommità riuscivano, la quale era dai merli difesa. Sparve ogni vestigio di tale edificio dopo il 1830. ... La residenza baronale era però costituita entro quella parte che dicesi palazzo della duchessa, ed è il mastio della rocca, il quale si divide in due piani e serba vestigia di ricche decorazioni anche in musaici ed in pregevoli sculture. Poiché oltre delle vie sotterranee e dei trabocchelli e degli andirivieni e delle uscite ingegnosamente incavate nella viva rupe son da ammirar delle scale intagliate negli spessi muri, che comunicavan dal basso a tutti i piani, a tutte le stanze, e sino alla sommità scoperta, chiuse all'ingresso da una lapida a guisa di porta, che serrata appariva uniforme a tutta la parete, né lasciava alcun vestigio. ... Ahi che in ogni tempo è stata operosa nell'architettura ed in tutte le arti Sicilia nostra; ma par che alla sua gloria abbia congiurato di far guerra l'ignavia di una gente, a cui non palpita in petto un sentimento di venerazione per la patria e per le sue celebri ricordanze.

 

1

Vista panoramica del castello nella metà del 1900

 

2 sorgente Canali

Fonte dell'acqua Canali, sotto via Reale

 

3

 

4

Ricostruzione filologica del prospetto ovest del castello e della cinta fortificata

 

5

Incisione (evidenziata in bianco) ritrovata durante i lavori di restauro

 

6

Portale d'ingresso al cunicolo sotto il castello

 

7 Piano terra

A-Andito     B-Corte     C-Cucina     D-Antica scuderia o magazzino del Collaro     E-Antico stabulo magno o magazzino di Timilia     F-G-H-Stanza degli amigeri o magazzino dell'Orzo     a-Pozzo     b-Silo     c-Stipo murale     d-Latrina     e-Canna fumaria delle cucine     h-Condotta di scarico dell'acqua della cucina

 

8

Affresco raffigurante S. Giorgio

 

9

Cucina terrana del castello di Favara

 

10

Incisione di carcerato raffigurante il crocifisso

 

11

Stemma dei Chiaramonte rinvenuto durante i lavori di recupero

 

12 Piano nobile

Pianta piano nobile del castello

I-Loggia     L-Portico     M-Cucina     N-Salone     O-Sala della Duchessa     P-Stanza del duca o dell'alcova     Q-Cappella     R-Stanza del Crocifisso     c-Stipo murale     d-Latrina     f-Canna fumaria delle cucine     g-Lavastoviglie     h-Condotta di scarico dell'acqua della cucina

 

13

Nuovo ballatoio in legno

 

14

Preesistente portico interno del castello

 

15

Lavastoviglie nella cucina del piano nobile

 

16

Sezione sullo stato originario del castello di Favara

 

17

Sala chiaramontana dello Steri agrigentino

 

18 - 19

Colonna tortile a due fasci ritrovata durante il restauro Semicolonna nel magazzino di Timilia

 

20

Vano nord del castello dove si trovavano le stanze della duchessa e la scala d'accesso al quarto superiore

 

21

Stanza del duca del castello di Favara

 

22

Altare della cappella del castello di Favara

 

23

Tracce di mosaico nella cappella del castello di Favara

 

24

Colonna bizantina a foglie d'acanto goticamente risentite

 

25

Portale della cappella del castello Chiaramonte di Favara

 

26

architrave ricavata da un sarcofago

 

27

Volta a crociera costolonata ricostruita nella stanza del Crocifisso

 

28 Quarto superiore

Ricostruzione filologica della pianta del quarto superiore

S-Carcere delle donne     T-Stanza delle torture     U-V-Stanza     Z- Stanza del duca o dell'alcova     K-Riposto     d-Latrina     i-Scala collegamento stanza del duca-riposto

 

29

Ricostruzione filologica della pianta della copertura

 

30

Torretta dell'orologio sul castello prima del restauro

 

31

Facciate sud e ovest del castello ed edificio addossato su via Castello

 

32

Disegno del prospetto del castello sull'omonima via come doveva essere realizzato

 

 

panorama di Favara con castello e monte Caltafaraci

 

Cronologia dei proprietari del castello

(1270 - 1311)

Federico II Chiaramonte e Prefolio

(Giovanna …..)

|

(1311 - 1321)

Costanza II Chiaramonte e Mosca

(Brancaleone Doria - Antonio Del Carretto)

|

1320 - ?

Giovanni I Chiaramonte e Prefolio

(Lucca Palizzi - Giovanna ...)

|

(1342 - 1352)

Manfredi II Chiaramonte e Palizzi

(Mattia Aragona)

|

? - 1352

Simone Chiaramonte e Aragona

(Venezia Palizzi)

|

1352 - ?

Federico III Chiaramonte e Palizzi

(Costanza Moncada)

|

? - 1377

Matteo Chiaramonte e Moncada

(Iacopa Ventimiglia)

|

2 dicembre 1374 - ?

Manfredi III Chiaramonte e Aragona

(Margherita Passaneto Eufemia Ventimiglia)

|

(1391 - 1392)

Andrea Chiaramonte

(Isabella …..)

|

4 aprile 1392 - 1398

Guglielmo Raimondo Montecateno

|

1398 - 1408

Emilio Perapertusa

|

1408 - ?

Bernardo Berengario Perapertusa

(Ilaria Ventimiglia - Adelicia ... )

|

? - 1453

Guglielmo Perapertusa

|

4 luglio 1453 - ?

Giovanni Perapertusa Castellar

|

? - 1480

Francesco Perapertusa Castellar

|

1480 - 1486

Guglielmo Perapertusa Castellar

|

1486 - ?

Guglielmo Ajutamicristo

|

? - 1509

Guglielmo Perapertusa Castellar

|

10 ottobre 1509 - 1520

Lucrezia Perapertusa Castellar

(Giosuè II De Marinis)

|

30 giugno 1520 - 1557

Pietro Ponzio De Marinis

(Stefania Moncada e Luna)

|

20 luglio 1557 - 11 ottobre 1568

Giovanna De Marinis

(Ferdinando De Silva - Lorenzo Telles)

|

11 ottobre 1568 - 22 luglio 1593

Maria De Marinis

(Giovanni Aragona e Tagliavia)

|

22 luglio 1593 - 1 ottobre 1604

Carlo Tagliavia Aragona e De Marinis

(Giovanna Pignatelli e Colonna)

|

1 ottobre 1604 - 28 agosto 1605

Giovanna Pignatelli e Colonna

(Carlo Tagliavia Aragona e De Marinis)

|

28 agosto 1605 - 8 agosto 1616

Maria De Marinis

(Giovanni Aragona e Tagliavia)

|

8 agosto 1616 - 23 aprile 1624

Giovanni Tagliavia e Pignatelli

(Zenobia Gonzaga ed Oria)

|

23 aprile 1624 - 4 gennaio 1654

Diego Tagliavia e Pignatelli

(Stefania Mendozza e Cortes)

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4 gennaio 1654 - 26 agosto 1695

Giovanna Tagliavia e Mendozza

(Ettore Pignatelli)

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26 agosto 1695 - 2 marzo 1725

Giovanna Pignatelli e Pimintelli

(Nicolò Pignatelli)

|

2 marzo 1725 - 20 novembre 1751

Diego Pignatelli

(Margherita Pignatelli)

|

20 novembre 1751 - 31 gennaio 1766

Fabrizio Pignatelli

(Costanza Medici e Gaetani)

|

31 gennaio 1766 - 8 ottobre 1801

Ettore Pignatelli e Medici

(... Piccolomini)

|

8 ottobre 1801 - 1818 ca.

Diego Pignatelli e Piccolomini

(... Caracciolo)

|

1818 ca. - 16 aprile 1829

Giuseppe Pignatelli e Caracciolo

(Bianca Lucchesi Palli)

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16 aprile 1829 - 9 maggio 1833

Stefano Cafisi

(Giuseppa Lombardo)

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9 maggio 1833 - 16 marzo 1890

Giuseppe Cafisi

(Teresa La Lumia)

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16 marzo 1890 - 30 aprile 1903

Stefano Cafisi

(Maria Carolina Giudice)

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30 aprile 1903 - 28 luglio 1941

Maria Cafisi

(Giovanni Miccichè)

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28 luglio 1941 - 18 maggio 1962

Francesco e Giuseppe Miccichè

(Carmela Pasciuta) (Calogera Riolo)

|

18 maggio 1962

Comune di Favara

 

 

La roccia fortificata e la fonte Canali

 

Vito Amico, nel citare alcune fonti storiche, nel dizionario topografico della Sicilia ci dice che Federico II Chiaramonte fu il fondatore dell’antico castello di questa Terra della Favara circa l’anno 1270, come vogliono conformemente li nostri storici di Sicilia, e ce lo confermano poscia più chiaramente le armi gentilizie Chiaramontane, incastrate nelle fabbriche di detta Rocca.

Il Villabianca definisce Favara: Terra così detta dalle cristalline fonti, che sgorgano nel suo contado, e fertilissimi rendono i di lei campi. Ella è baronale con mero e misto imperio.

Riguardo alle acque un antico documento ci dice: queste scaturiscono da diversi strati di un banco di roccia calcare. A causa dell’evaporazione prodotta dalle azioni atmosferiche le falde degli strati superiori sonosi esaurite e la sorgente è alimentata dai soli strati inferiori. Non avendo il condotto che smaltisce dette acque alla fonte una sensibile pendenza, ne avviene che nell’interno della cava le acque restano latenti, passando solamente quelle che arrivano a vincere l’altezza di livello.

Parlando della roccia fortificata e del castello (f. 2 non si può fare a meno di evidenziare l’importanza che la fonte Canali ha avuto nella scelta del luogo e la vita del maniero. Trattasi, nella fattispecie, di una piccola caverna sotto la via Reale (f. 2), in origine aperta, dove tutti andavano ad attingere acqua. Con l’espandersi del tessuto urbano ai piedi ed a valle della roccia fortificata, nella metà del XVIII sec., si sentì l’esigenza di interrare la caverna e renderla accessibile attraverso un cunicolo realizzato in pietra e gesso, che è servito anche come conduttura d’acqua. In origine, pare che un un cunicolo collegasse il castello con la fonte.

All’origine il castello era abbarbicato, almeno per tre lati, su uno sperone di roccia, tranne che per la parte meridionale, la cui difesa era garantita da un’altra struttura fortificata.

Se da un lato la fonte è stata una componente essenziale per la vita del castello, dall’altro, la roccia, per vocazione topografica, è stata il sito geografico più vicino e sicuro.

 

 

La cinta muraria e la torretta

 

Il castello di Favara, nel complesso, rispettava i canoni del castrum medievale, con il mastio che anticamente si collegava ad una cinta muraria fortificata con una torretta d’angolo, col compito di garantire la sicurezza del palazzo (castello), dove il signore dimorava con la famiglia  (f. 3-4). La cinta muraria ed il castello, lungo il perimetro est, risultavano naturalmente difesi dallo sperone roccioso su cui erano abbarbicati. Alle pareti scoscese di detto sperone che scendevano a strapiombo, in epoca cinquecentesca furono addossati la chiesa di nostra Signora della Trapassione (Madonna del Transito) ed abitazioni private, la qual cosa modificò il caratteristico aspetto originario naturale del luogo ed occultò le stesse pareti con relativi anfratti naturali e grotte ancora oggi esistenti.

La cinta muraria rappresentava l’avamposto difensivo, oltre che della struttura stessa, anche del castello, il cui unico accesso sul fronte meridionale, sarebbe risultato estremamente vulnerabile senza questa struttura. La cinta muraria aveva un legame simbiotico anche con la pubblica piazza e lo dimostra il fatto che la lunghezza del muro occidentale coincideva con la larghezza della piazza. Quest’ultima doveva assurgere al ruolo di difesa e protezione, dato che la parte più vulnerabile della fortificazione, per secoli utilizzato anche come carcere, era il fronte occidentale che si affacciava alla piazza.

Non è da escludere, anzi è molto probabile che l’impianto della cinta muraria, con relativa torretta, sia stato realizzato prima del castello. Buona parte di quella che poteva essere la cinta muraria settentrionale risulta essere il muro meridionale del castello, su cui dovrebbero riscontrarsi discontinuità strutturali dovute alle differenti tecniche-costruttive adottate in periodi diversi, ciò che, invece, non è riscontrabile in alcun modo.

Tuttavia non sarebbe da scartare neanche la possibilità di una parziale demolizione della cinta muraria e costruzione, ex novo, del muro sud del castello, cosa assai improbabile, giacché in quel periodo la tendenza era di adattare le nuove strutture a quelle esistenti. In realtà la presenza dei cantonali sud fino a terra di conci squadrati, e gli elementi ipotizzati ed accertati inducono a pensare che il castello sia stato aggiunto alla cinta muraria.

È assai probabile, inoltre, che la cinta muraria fosse dotata soltanto di una torre, e non di quattro, come riportato dall’Amico. Le notizie fornite dall’arciprete Antonino Salvaggio, secondo le quali l’ultima torre fu demolita dopo il 1820, risultano in parte errate. Risulta invece che la torretta non è stata mai demolita, e che Giuseppe Aragona Pignatelli e Cortes, duca di Terranova e Monteleone, nel 1829, vendette l’intera struttura fortificata e relative attinenze, anche se non nella sua perfetta connotazione originaria, a Stefano Cafisi.

Per tutto il 1700 la torretta è stata oggetto di acconci e ripari soprattutto nella copertura. La presenza di due cannoni sull’astraco, nel periodo fra la seconda metà del 1700 e la prima metà del 1800, ci fa capire l’utilizzazione strategica della torretta. La torretta, almeno al primo livello fuori terra, oggi risulta perfettamente integra nelle strutture verticali e nelle volte ed è costituita da spessi muri. Il muro occidentale della torretta è perfettamente in asse col muro orientale del magazzino del Collaro del castello.

Una struttura quadrangolare, perfettamente speculare alla torretta, la troviamo all’interno del castello, tra il magazzino del Collaro e l’andito voltato. Se questa struttura sia stata un’altra torre della cinta muraria non lo sappiamo. È certa, invece, la sua funzione di mastio, come attestano le fonti archivistiche e un’antica incisione ritrovata durante il restauro (1998-2001) sulla parete occidentale della prima rampa di scala, che dal ballatoio conduce al quarto superiore (f. 5, con evidenziazione in bianco delle incisioni). L’inaccessibilità della scala, perdurata dal 1964 (con la demolizione del ballatoio) fino agli ultimi lavori di restauro, ha consentito a questa immagine di conservarsi inalterata.

 

 

Le segrete

 

Il castello è dotato di cunicoli sotterranei che dovevano servire per eventuali fughe e per collegamenti strategici. Allo stato attuale si conosce un cunicolo con ingresso da un portale a sesto acuto ad est della roccia fortificata (f. 6). Il cunicolo percorre per una diecina di metri la zona sottostante il magazzino dell’Orzo (F); le pareti manifestano ancora oggi i segni di scavo dovuti all’azione dell’uomo. L’ultimo tratto si dirige verso il centro della corte del castello, dove la volta si chiude quasi verticalmente; per ora risulta impossibile andare al di là di questo tratto poiché il passaggio è ostruito da materiale sabbioso sciolto. Si può ritenere che da qui il cunicolo continui per qualche metro ancora in fortissima pendenza, fino ad arrivare in una caverna a guisa di vestibolo, da dove dovrebbero avere inizio diversi attraversamenti.

Escludendo quanto la tradizione orale ci ha tramandato sul collegamento con la Montagna Caltafaraci, da verifiche effettuate in diversi luoghi, dovrebbe essere accreditabile l’esistenza almeno di quattro cunicoli principali. Un primo cunicolo dovrebbe dirigersi verso nord, sotto la via Umberto e potrebbe avere sfogo nei pressi della chiesa dell’Itria (impianto medievale di probabile matrice chiaramontana); un secondo cunicolo, con direzione est, attraverserebbe il sottosuolo della roccia fortificata fino ad arrivare in prossimità della grotta, sotto via Reale, dove sgorga l’acqua di Canali; un terzo cunicolo dovrebbe dirigersi verso la chiesa madre; un quarto cunicolo attraverserebbe il sottosuolo dell’attuale ufficio postale e si collegherebbe con un ambiente interrato di un antico palazzo signorile e da qui prosegue verso la chiesa S. Nicolò.

All’interno della cucina del piano terra del castello è presente un’altra cavità, forse scaturita dal cedimento della volta del cunicolo, nel recente restauro resa visibile ed ispezionabile mediante opere di sistemazione delle pareti e la collocazione di una botola metallica a graticcio. Questa cavità è stata trovata parzialmente regolarizzata nelle pareti con malta di cocciopesto ed è stata utilizzata come silo per la raccolta di cereali in periodi non recenti.

 

 

Il castello: usi, toponimi e trasformazioni degli ambienti

 

Il piano terra (f. 7)

 

L’andito - È il primo ambiente voltato d’ingresso del castello. Originariamente le pareti erano rivestite da intonaci dipinti. Col tempo detti intonaci e la superficie intradossale della volta si sono coperte di un folto strato di fuliggine derivata dai fumi che si sprigionavano dalle cucine presenti nei due vani all’ingresso del castello, prima quello ovest e poi quello est. Nel corso del restauro, nella primavera del 2001, sono stati portati alla luce residui di affreschi di due stemmi della famiglia Chiaramonte ai lati dell’arco del portale principale d’ingresso e l’immagine di un cavaliere col nimbo, con chiaro riferimento a S. Giorgio (f. 8). Il muro ovest dell’andito presenta una compagine poco compatta ed abbastanza provata. Ciò è dovuto sia al peso delle strutture soprastanti, sia al fatto che la muratura, nel corso degli anni, è stata sottoposta a rimaneggiamenti, in conseguenza alla demolizione della prima rampa di scala che conduceva al piano nobile.

Il pozzo e la corte - Il pozzo, scavato interamente nella viva roccia, è stato senza dubbio la prima realizzazione dell’intera struttura. In origine assicurava agli abitatori del castello una riserva idrica continua. Col passare degli anni, il bacino acquifero dovette subire un abbassamento ed il pozzo non garentì più la primitiva riserva, al punto da divenire inservibile. Il pozzo, nel corso degli anni, è divenuto luogo di discarica, un vero e proprio butto, dove è stata gettata una gran quantità di cocci di vasellame (soprattutto brocche e piatti) misti a resti d’ossa animali, pietrame e terra. I cocci di terraglia (collocati dentro cassette di legno, in una delle stanze del castello) potrebbero ascriversi ai secoli XVII e XVIII e per buona parte potrebbero essere ricomposti con un accurato restauro ed esposti all’interno del castello.

La cucina degli armigeri e carcere criminale - Ambiente con volta a tutto sesto. Nel 1557 era chiamata coquina veteri, per distinguerla da quella nuova, ricavata in modo provvisorio nel vano dirimpettaio. All’interno della coquina veteri si scorge una cavità sotto la quota del pavimento, fino all’epoca fascista utilizzata come silo. La coquina veteri nel tempo ha subìto delle manomissioni, in parte oggi illeggibili, ma nonostante tutto è ancora integra la zona dei focolari, compresa la cappa e canna fumaria. Quest’ultima raccoglieva i fumi anche della cucina del piano nobile, attraversava il carcere delle donne, nel quarto superiore, e fuoriusciva dal terrazzo. Durante il restauro (1998-2001) è stata ricostruita la parte mancante della canna fumaria, dal piano nobile al terrazzo (f. 9). Già nel XVII sec. la coquina veteri ha perso la sua connotazione di cucina ed è stata riutilizzata a carcere criminale. Ne sono riprova le numerose incisioni (f. 10).

La scuderia - È il vano terrano più ampio del castello. Nel sec. XVI era chiamato stabulo magno e all’inizio del XIX magazzino del Collaro, con chiaro riferimento ad un elemento decorativo circolare ritrovato al centro della volta a botte durante il restauro. A parte il collegamento col magazzino della Timilia, l’unico accesso originario dalla corte era dato dal portale a sesto acuto, in parte occultato dallo scalone della corte. Di questo portale, durante le operazioni di restauro sono stati riportati alla luce lo stemma dei Chiaramonte (scudo con cinque monti - f. 11) e parte della ghiera ricca di modanature e bassorilievi floreali. Parti dello stemma e della ghiera sono stati distrutti durante la costruzione dello scalone nella corte.

La dispensa - Magazzino dotato di volta a botte. Nel 1557 era chiamata dispensa magna e, nei primi del 1800, magazzino della Timilia (qualche volta anche Tumminia), con chiaro riferimento ai cereali che qui venivano conservati assieme ad altre provviste. Intorno ai primi del 1500, l’ambiente è stato diviso in due con un muro, ai cui lati sono state poste due colonne, di sicuro provenienti dal salone. Il nuovo ambiente è stato reso indipendente grazie ad una porta architravata di fattura rinascimentale, realizzata sul primo pianerottolo dello scalone della corte. Sull’architrave del portale rinascimentale aggetta dalla parete un blasone a losanga, come quello esistente sopra il portale d’ingresso secondario nord della cinta muraria. Purtroppo il forte degrado lo ha reso illeggibile, anche se, con fatica, si riesce a scorgere un cartiglio. I motivi floreali in bassorilievo, ancora evidenti, hanno una familiarità con quelli riportati nel blasone dei Perapertusa, in mostra nell’andito. Ad individuare il casato ci viene incontro la tipologia del blasone, la cui forma a losanga, secondo studi d’araldica, era una prerogativa delle damigelle. In tal caso occorre osservare che l’unica damigella della famiglia Perapertusa è stata Lucrezia, figlia di Guglielmo, che prese investitura del feudo nel 1509. È probabile, quindi, che alcuni lavori, commissionati da Guglielmo ed eseguiti da mastro Bernardo Sitineri nel 1488, siano stati continuati sotto la baronia di Lucrezia tra il 1509 e 1520. Il portale architravato è successivo allo scalone della corte, giacché è stato adattato al piano di calpestio del pianerottolo e non a quello del magazzino della Timilia, che è più basso. Da ciò risulta evidente che l’ambiente ricavato nel magazzino della Timilia è anch’esso successivo allo scalone e coevo al portale.

Gli alloggi degli armigeri - Sono tre vani quadrangolari con volta a botte, ognuno con ingresso proprio dalla corte e completo al suo interno di due stipi murali (o gasene), di una latrina e di canna fumaria, per il riscaldamento . Nei primi del 1800 il vano immediatamente vicino all'ingresso del castello è stato adibito a carcere civile. Il vano centrale nella seconda metà del 1800 è stato parzialmente alterato con l’inserimento di una scala. Il restante vano è stato utilizzato come mangiatoia. A queste opere di trasformazione si devono aggiungere pure la porta a sesto acuto d’accesso alla scala citata dalla corte e quella in fondo alla stessa, che ha portato alla parziale distruzione della latrina. In concomitanza alla realizzazione della mangiatoia, che ha ostruito il portale d’accesso medievale, a fianco è stato realizzato un altro accesso, con la conseguente distruzione di buona parte di uno dei due stipi murali presenti nel vano. Detti interventi, effettuati nella seconda metà del 1800, sono privi di significato architettonico e, oltre a deturpare pesantemente l’assetto spaziale del vano, hanno prodotto il collassamento di parte della struttura muraria, per cui si è reso necessario il suo consolidamento nel corso del restauro (1998-2001).

Lo scalone d’accesso al piano nobile - La prima rampa originariamente doveva trovarsi addossata al muro nord del vano cucina. Sulla parete superiore al vano sono evidenti i segni di un preesistente collegamento del pianerottolo con lo scalone. Il muro est, in comune con l’andito, e buona parte del muro nord, dove si appoggiava la scala, risulta molto rimaneggiato. La prima rampa di scala è stata diroccata probabilmente nel 1488 da mastro Bernardo Sitineri e realizzata, in forma più ampia, ad ovest della corte. Il nuovo scalone è stato impostato su due arcate, per non coprire il pozzo e l’ingresso del magazzino del collaro. Pur tuttavia questi lavori hanno portato al parziale occultamento del pregevole portale d’ingresso al magazzino del Collaro ed al relativo blasone dei Chiaramonte.

 

Il piano nobile (f. 12)

 

La loggia - La loggia superiore all’andito, costituisce il  vestibolo fra il piano terra e quelli superiori. In origine poteva essere isolato dallo scalone con un robusto portone di legno, con spranghe e catenacci, nei secc. XVIII e XIX chiamato porta della fico. L’unica bifora esistente, a sud, per materiale e tipologia, non è coeva all’impianto originario e potrebbe essere datata tra la fine del 1400 ed i primi del 1500; non è esclusa l'attribuzione al Sitineri. Le parti d’intaglio sono state realizzate con pietra calcarea di tipologia similare a quella del prospetto della vicina chiesa del Purgatorio, prelevata dalle cave della Portella. Particolare attenzione meritano le incisioni sull’imposta della volta a botte, che comprendono tessere con motivi variegati in bassorilievo. Tra gli elementi ornamentali intagliati sono pure evidenti delle incisioni che richiamano l’arme dei Chiaramonte.

Il portico (f. 13) - Costituisce il prolungamento della loggia ed originariamente era in legno (Nel 1663 il faber lignarius mastro Antonino Pullara eseguiva numerosi lavori di manutenzione negli infissi ed altre parti lignee del castello, oltre che per conzare lo porticato del castello. Nel 1719 il faber lignarius mastro Giovanni Pirrera riceveva il compenso per sua maestria, tavole, tavoloni, ossature, groppi, chiova et altri per avere acconciato il porticato del castello). Nel 1755 è stato realizzato un passamano dell’entrata del salone con num. 500 pezzi d’intaglio, fatto che ci induce a pensare che dopo il 1719 e prima del 1755, per volontà del marchese di Favara Fabrizio Mattia Aragona Pignatelli e Cortes, sia stato ricostruito il portico in muratura, demolito nel 1964-1965. Altri elementi concorrono a rafforzare questa ipotesi; sarebbe da escludere, infatti, il periodo ascrivibile ai Perapertusa e Perapertusa Castellar (1398-1520) giacché un loro blasone scolpito nella pietra (oggi presente sulla parete ovest dell’andito del castello) era stato riutilizzato come volgare pietra informe per la muratura del porticato. Nell’inventario del 1557 dei beni di Pietro Ponzio De Marinis, si legge che il magazzino del collaro era utilizzato come scuderia e l’unico accesso era dato dal portale chiaramontano sotto lo scalone della corte. Il portico settecentesco in muratura (f. 14), fatto demolire dall'arch. Capitano (1964-1965), s’inseriva nel contesto della corte in modo anacronistico e spropositato. La sua presenza aveva alterato ed impoverito l’originaria connotazione architettonica delle facciate e la spazialità della stessa corte. Aveva occultato parzialmente i portali dei magazzini della Timilia, del Collaro e dell’Orzo, la finestrella del magazzino dell’Orzo (G) e l’ingresso del magazzino del Collaro . L’elemento monolitico che reca l’iscrizione di mastro Bernardo Sitineri, di cui non si conosce l’ubicazione originaria.

La cucina dei nobili - L’ambiente cucina del piano nobile, originariamente con volta a botte, era dotato di forni e focolari nell’angolo sud-ovest. I fumi venivano espulsi da una canna fumaria in comune con la cucina del piano terra. Terraglie e posaterie venivano lavate in un lavatoio ricavato in una nicchietta in conci intagliati sulla parete sud (f. 15). L’acqua veniva espulsa mediante un cavedio nello spessore del muro.

Il salone - L’ala ovest del piano nobile ospita un grande vano di mq 191,00, in origine il salone di rappresentanza dei signori di Favara. Il munifico ambiente era sovrastato da una volta a sesto acuto, lunettata (quattro lunette per ogni parete  longitudinale). Le volte erano caratterizzate da costoloni trasversali convergenti su semicolonne e peducci aggettanti dalle pareti longitudinali (f. 16). Abbiamo esempi di analoga tipologia, lasciati dai Chiaramonte, nella città di Agrigento, nell’antico steri (oggi seminario vescovile) (f. 17) e nelle due cappelle annesse alla chiesa di S. Francesco . Col passare degli anni il muro occidentale (oggi su via Castello) non è stato più in grado di contrastare le spinte orizzontali scaturenti dalla massiccia volta lunettata e costolonata ed è crollato assieme alla volta e parte dei muri trasversali nord e sud. Il crollo della volta di copertura non è escluso che abbia provocato la distruzione di quella sottostante. Il salone originariamente doveva comprendere quattro bifore sul fronte ovest, una a nord ed un’altra a sud, delle quali non c’è più alcuna traccia nella muratura. Le nuove finestrature rinascimentali (tre ad ovest, una a nord ed un’altra a sud) non sono state ubicate nello stesso posto delle antiche bifore, la cui totale assenza si giustifica soltanto con la ricostruzione del muro. Le uniche tracce d’innesto della volta, delle semicolonne e dei peducci sono riscontrabili solo parzialmente sul paramento est e su quello sud, in prossimita dell’angolo sud-est. Delle sei fastose bifore sono stati recuperati alcuni frammenti di colonne tortili a due e tre fasci (f. 18), come già detto, nella muratura di riempimento della volta del salone e fra il materiale di risulta che ingombrava l’attinenza esterna est del castello. Giova notare la similarità di queste colonne con quelle utilizzate nello steri chiaramontano di Palermo ed il monastero di S. Spirito di Agrigento, per comprendere la pregevolezza dell’impianto originario del castello. Le opere di ricostruzione sono state eseguite con molta probabilità nel 1488 da mastro Bernardo Sitineri, per volontà di Guglielmo Perapertusa. Il nuovo muro ovest è stato mantenuto ad una quota più bassa rispetto a quella originaria; su di esso è stato impostato il displuvio della nuova copertura di legno ad unica falda. I lavori di Sitineri, effettuati in conseguenza del crollo, hanno quindi portato alla parziale modifica dei prospetti ovest, nord e sud, con l’alterazione del profilo di coronamento: infatti è scomparsa la vecchia merlatura e sono state introdotte nuove finestre in conformità allo stile dell’epoca. Le semicolonne che, solo in apparenza, reggevano le costolonature centrali della volta, sono state trasportate al piano terra, nel magazzino della Timilia, dove oggi si trovano, ridotte nel fusto (f. 19).

Le stanze della duchessa - L’ambiente, anticamente d’uso prevalente della signora del castello, prima dell’intervento di Capitano (1964-1965) comprendeva quattro stanze ed una scala. I muri ed il corpo scala sono stati interpretati da Capitano come sovrastrutture da demolire, probabilmente perché in condizioni statiche precarie e per la notevole presenza di gesso utilizzato per le manutenzioni. I muri di questi ambienti, come per la stanza del duca, oggi non lasciano trasparire tracce di preesistenti volte, colonne e peducci, ad eccezione di una porzione di volta a sud, in prossimità dell’angolo sud-ovest, afferente il secondo piano. (nella f. 20 la sala della duchessa ormai privo delle tramezzature e della scala d'accesso al quarto superiore. Nella parete sinistra, in alto, si vede la finestra che anticamente dava luce alla stanza delle torture sita nel quarto superiore).

La stanza del duca - Era la camera da letto del marchese di Favara e duca di Terranova e per questo era chiamata anche dell’arcova (f. 21). All’angolo sud-ovest una porticina immetteva in una scaletta che conduceva in un riposto superiore. Nella parete sud della camera del duca sono ancora evidenti i segni delle volte di calpestio e di copertura del riposto, del muretto di divisione con la scaletta. Nella parete ovest sono ancora presenti la nicchia di alloggiamento della porta, la finestrella d’illuminazione della preesistente scaletta ed il portalino d’ingresso al poggiolo. Nella parete est, una finestrella archiacuta, ancora esistente, illuminava il riposto.

La cappella - La cappella è indubbiamente l’ambiente più significativo del castello. Alcune incoerenze costruttive e un'analisi storica ci dimostrano che detto ambiente non è coevo all’impianto originario del castello. Ad oggi non ci sono elementi per affermare che le pareti della cappella erano impreziosite da affreschi e/o mosaici, tuttavia sappiamo che nel 1751, così come le altre stanze, erano tinteggiate a calce, gesso e colla. Durante i lavori (1998-2001) è stata constatata la presenza di mosaici negli elementi intagliati dell’abside (f. 23). Trattasi, nella fattispecie, di tesserine invetriate a losanga che riproducono motivi a stella ad otto punte, patinate d’oro zecchino su fondo di colore rosso e verde-turchese (f. 22). Se ne riscontrano ancora oggi tracce sull’abaco di un capitello centrale a nord e nella parte alta del fusto della colonna sud con motivi a zig-zag. Le tessere sono incastonate nelle scanalature, sopra un letto di calce che funge da collante. Le superfici dell’abside e del catino absidale erano ricoperte interamente da affreschi di cui ancora oggi si osservano alcune sinopie e velature di colore rosso. Delle quattro colonnine presenti, solo quelle di calcarenite, poste ai lati, sono originali e riportano nel fusto un motivo a zig-zag, tipico dell’architettura chiaramontana. I fusti delle rimanenti colonnine in granito, così come lo erano quelle centrali mancanti, non sono coevi all’impianto, ma sono elementi di spoglio e mal si collegano ai capitelli ed alle basi (f. 23). L’ambiente della cappella con l’introduzione di due colonne marmoree di spoglio (f. 24), su cui è impostato un arco a sesto acuto, risulta diviso in due parti: l’aula e il presbiterio. L’inserimento di questa struttura si è resa necessaria a seguito della decisione di coprire l’aula con la cupola. La cupola si collega armonicamente con la struttura portante verticale a pianta quadrata, attraverso quattro nicchie. La cupola presenta dodici pertugi, di cui quattro, più grandi, perfettamente in asse con i punti cardinali ed altri otto secondari intermedi, più piccoli. Non è da escludere un loro rapporto con il sole e le stagioni, una sorta d’orologio solare, i cui raggi, entrando dai fori, segnavano il tempo sulle pareti dell’aula. La copertura dell’area presbiteriale, non più esistente, comprendeva una semicupola, con due nicchie angolari. Dal punto di vista artistico la cupola risente fortemente l’influenza dell’architettura araba ed arabo-normanna che ritroviamo in S. Giovanni degli Eremiti e nella Cuba a Palermo. Tra le parti architettoniche di maggiore pregio della cappella troviamo il portale (f. 25), dove elementi di matrice chiaramontana si leggono oltre che sugli stipiti, anche nella ghiera zigrinata. La presenza, sulla lunetta, di colpi di piccone e tracce di calce, ci indicano la preesistenza di uno strato d’intonaco probabilmente affrescato. Preesistenze di decorazioni musive troviamo, invece, negli incavi a figure geometriche, negli stipiti in marmo bianco. Un elemento caratteristico per la sua estraneità al contesto ambientale del castello è l’architrave, pure in marmo bianco: un elemento di spoglio ed in particolare la parete longitudinale di un sarcofaco di bambino di epoca romana, collocabile fra la fine del II sec. e l’inizio del III sec. d. C. (f. 26). Sopra il portale faceva bella mostra un piccolo rosone, in voga nelle cattedrali gotiche e romaniche di tipologia similare a quelle presenti nelle trifore dello steri chiaramontano di Palermo.

 

 

La stanza del Crocifisso

 

Dopo la cappella ed il salone, la stanza del Crocifisso era indubbiamente la più bella del castello per la suggestiva volta a crociera costolonata e le colonne d’angolo (ricostruita nell'intervento di recupero - f. 27). Era l’ambiente di ricevimento privato del signore del castello e la sua ubicazione d’angolo, a diretto contatto con la loggia, non è un fatto casuale. Come gli alloggi degli armigeri, anche questo vano è fornito di latrina e di stipo murale prossimo all’ingresso. Un altro stipo doveva trovarsi nello stesso muro, oltre la bifora sud.

 

Il quarto superiore (f. 28)

 

Le stanze

 

Il quarto superiore (secondo piano) comprendeva due vani a nord, uno all’angolo nord-est, sopra le stanze della duchessa, uno ad est, sopra la camera del duca, con scaletta d’accesso e retrocamera ed infine un vano a sud (S) con retrocamera. Erano stanze piuttosto modeste, anche in altezza, in parte dotate di servizi (cucine e latrine) ed utilizzate per tanti anni dal personale domestico che aveva il compito di governare il maniero. Detti vani, così come gli altri, nel tempo sono stati utilizzati per altri scopi, in rapporto agli eventi ed alle necessità. La stanza (T) era dotata di grata d’ingresso ed una sola finestra monofora prospiciente la corte. Per un certo periodo è stata utilizzata come luogo di tortura dei carcerati. È probabile che fosse servita da una latrina ricavata nello spessore del muro nord, all’angolo nord-ovest (d). La stanza a sud (S), l’unica in questa ala, possiede due finestre, una bifora a sud, ed una monofora a nord, sulla corte. La  posizione alta  e distanziata rispetto alle altre stanze del castello conferiva all’ambiente uno stato di perfetto isolamento, per tale ragione, per tanti anni è stata adibita a carcere femminile.

 

 

La scala che collega il piano nobile col quarto superiore, con le coperture e l’orologio

 

L’unico accesso al carcere delle donne era assicurato da una ripida e stretta scala ricavata nello spessore del muro che divide la loggia dalla cucina del piano nobile. La scala, con unico accesso sul ballatoio, proseguiva con una seconda rampa, in direzione est-ovest, verso il terrazzo. All’angolo delle due rampe una stretta monofora illumina con una fioca luce, ancora oggi, l’angusta e ripida salita.

 

 

Le coperture, i terrazzi e i merli (f. 29)

 

L’estradosso delle volte di copertura ed i rinfianchi erano riempiti con muratura di pietrame e malta di calce, tale da assicurare una certa curvatura, finita sull’estradosso con uno spesso e compatto strato di malta a base di calce e inerti selezionati, ben lisciato in superficie per il displuvio delle acque meteoriche che venivano espulse tramite doccioni in pietra. Da un punto all’altro della copertura e lungo il perimetro di coronamento gli armigeri erano liberi di scorazzare, a seconda della necessità, e scagliare le loro frecce dalle saettiere, riparandosi dietro i merli. Pur essendo, quella del castello di Favara, una costruzione massiccia, la soluzione di affidare ai muri maestri di sommità le spinte orizzontali delle volte, senza tirantature metalliche di contrasto, ne ha fatto una struttura ardita e vulnerabile, tanto che col passare degli anni non è riuscita a reggere la fatica. Le volte di copertura del castello sono venute meno ed al loro posto sono state realizzate coperture a falde in legno, canne, gesso e canali. Le manutenzioni ordinarie più frequenti consistevano nel voltare i tetti e per l’occasione tutte le tegole venivano rovesciate, controllate, ripulite e rimpiazzate.

 

 

La torretta dell’orologio (f. 30)

 

Il primo impianto di orologio civico a Favara si colloca presumibilmente fra la fine del 1600 e l’inizio del 1700. Come dimora fu scelto il coronamento, all’angolo sud-ovest, del salone del castello, evidentemente perché era il punto più alto e più apprezzabile dalla pubblica piazza, per tanti anni centro del potere amministrativo e commerciale del paese. Il casotto che conteneva la struttura meccanica era accessibile dal terrazzo soprastante il carcere delle donne, a cui si collegava mediante uno stretto corridoio coperto chiamato passetto. L’ultima torretta dell’orologio di calcarenite intagliata e muratura informe, ancora oggi esistente, è datata 1764, come si rileva dall’incisione riportata in un concio alla base della copertura. Lo stile neoclassico dell’impianto architettonico risente fortemente il trapasso delle libere forme del tardo barocco, soprattutto attraverso gli elementi ornamentali di copertura, del doppio ordine della trabeazione, dei modiglioni, etc. La torretta è dotata di due campane di bronzo, la più piccola, del 1762, proviene dalle officine di Burgio e l’altra, più grande, di cui si sconosce la provenienza, risale al XVII sec. L’uso pubblico dell’orologio, esistente sin dal tempo in cui il castello era di proprietà dei marchesi di Favara, dopo l’acquisto di Stefano Cafisi è divenuto, in certi casi, farraginoso. I Cafisi per ragioni d’interesse economico spesso entravano in conflitto con l’amministrazione favarese. Nel 1868 Giuseppe Cafisi, dietro una precedente istanza del defunto genitore, reiterava la già richiesta traslazione del pubblico orologio dal castello al campanile della preesistente madrice, ma la richiesta non andò a buon fine. Nel 1889 deliberava l'acquisto con la ditta P. Gravaglia & C. di Torino, dell’impianto di un nuovo pubblico orologio con calendario, in sostituzione di quello antichissimo ormai divenuto inservibile. Attualmente la struttura meccanica dell’orologio, ormai inservibile, si trova nel magazzino della Timilia. La torre campanaria prima del restauro (1998-2001) si presentava seriamente danneggiata ed in condizioni statiche molto precarie.

 

 

Il fabbricato addossato al castello (f. 31-32)

 

Fino alla seconda metà del XIX sec. l’unica via che dalla zona N-E della pubblica piazza (piazza Cavour) portava al quartiere S. Antonio ed alle fonti Canali e Giarritella era la via del Rosario. L’attuale via Castello era uno slargo, una sorta di appendice della piazza della larghezza di circa 13,00 m., compreso lo spazio occupato dal costone roccioso, su cui è stato fondato il castello. Detto slargo era occupato da diversi magazzini di pertinenza del marchese di Favara, a seguire la cinquecentesca chiesa di Maria SS. del Rosario, caduta in rovina alla fine del XVII sec. e ricostruita con il fronte principale sulla piazza tra il 1705 e 1711. Fino al terz’ultimo decennio del 1800 la facciata ovest del castello era libera, così come apprezzabile era la roccia su cui le fabbriche erano fondate. Nel 1872 il proprietario del castello Giuseppe Cafisi acquistava dal Comune di Favara un appezzamento di terreno di 20 palmi (m 5,20) di larghezza, adiacente la parete ovest del castello, su cui insisteva la roccia. L’acquisto era finalizzato alla realizzazione di un edificio, per la cui realizzazione veniva rasata la roccia alla base del muro perimetrale ovest del castello, per tutta la sua lunghezza e per tutta la porzione sporgente oltre mezzo metro dalla parete esterna di codesto muro. La costruzione veniva realizzata tra il 1872 e il 1873. Nel 1959 veniva notificato ai proprietari del corpo di case un decreto ministeriale di immodificabilità, al fine di salvaguardare la vista del castello. Nonostante l’apposizione del vincolo, nel 1963, sulla porzione sud, ben visibile dalla piazza, veniva realizzata una sopraelevazione, che comprometteva ulteriormente la valenza architettonica e ambientale del castello. Per esaltare le fabbriche del castello nella loro totalità, nei lavori di recupero (1998-2001) è stato previsto l’esproprio dell’edificio (che rappresenta a tutti gli effetti una superfetazione), la relativa demolizione dei due livelli superiori, la liberazione delle quattro monofore del magazzino del Collaro e della facciata ovest del castello (nel disegno a dx è riportato il prospetto del castello sulla omonima via, secondo le previsioni di progetto). Purtroppo un ricorso al T. A. R. da parte di un privato ha vanificato l’esproprio di una porzione dell’edificio, inficiando i propositi progettuali. Atteso che il T. A. R. ha esitato negativamente il ricorso, sarebbe auspicabile che quanto previsto venisse portato a compimento a decoro dell'immagine del castello e del pubblico godimento.

 

Il castello nel 1993 - prima dell'intervento

 

Carcere delle donne prima dei lavori

Carcere donne

facciate sud-ovest sulla corte del castello prima dell'intervento

Scalone

ammezzato

Scalone e parete O

Carcere delle donne prima dei lavori

Carcere delle donne prima dei lavori

Carcere delle donne a cielo aperto e piano di calpestio inesistente

 

Cupola del castello prima dell'intervento

 

Cupola e pareti nord ed ovest della sala del Crocifisso a cielo aperto prima dell'intervento

Cupola e pareti della sala del Crocifisso a cielo aperto

 

Facciata sud sulla corte del castello prima dell'intervento

 

Facciata nord della corte

Facciata est della corte

 

La sala della duchessa con ammezzato in cemento armato prima dell'intervento

 

Il salone con ammezzato in cemento armato prima dell'intervento

Sala della duchessa al 1 P. e ammezzato

Salone al primo piano e ammezzato

 

Il castello visto da nord-est prima dell'intervento

 

Muri crollanti del passetto ottocentesco di accesso all'orologio

Facciate nord ed est

Muri crollanti del passetto dell'orologio

 

Facciata sud del Castello prima dell'intervento

 

Ingressi lati est e nord nella corte del castello prima dell'intervento

Facciata sud

Corte e ingressi est e nord

 

Scalone nella corte del castello prima dell'intervento

 

Scalone e corte del castello prima dell'intervento

Scalone e pareti S-O

Prospetto sud

 

Il castello prima del restauro

 

Pulizia e prima catalogazione di reperti archeologici ritrovati nel castello durante i lavori di recupero, nel periodo giugno/luglio 1998

 

  Ricostruzione grafica maiolica del castello di Favara

 

Dicembre 2010

 

 

 

 

 

 

 

Il pozzo, scavato interamente nella viva roccia nella corte del castello chiaramontano di Favara, è stato senza dubbio la prima realizzazione dell’intera struttura. In origine assicurava agli abitatori del castello una riserva idrica continua. Col passare degli anni il bacino acquifero dovette subire un abbassamento ed il pozzo non garantì più la primitiva riserva, al punto da divenire inservibile.

Il pozzo, nel corso degli anni, è divenuto luogo di discarica, un vero e proprio butto, atto ad accogliere materiale di risulta di vario genere: pietre, ossa animali, tegole rotte, terra, cocci di vasellame, etc. I reperti raccolti nei mesi di giugno e luglio 1998, durante i lavori di recupero del maniero hanno interessato il pozzo fino ad una profondità di oltre 16,00 m. e sono stati collocati dentro apposite cassette di legno, opportunamente etichettate per individuarne la profondità di raccolta, il tutto riposto in una delle stanze del castello.

Da un primo esame i reperti potrebbero ascriversi ad un arco temporale che va dal sec. XVII al sec. XX.

Altro materiale similare è stato estratto dal silos esistente all'interno dell'antica cucina, poi carcere criminale (prima stanza ad ovest dell'andito d'ingresso), ma quello più antico è risalente alla prima metà del XX sec. Lo testimonia uno stemma in bassorilievo della casa reale dei Savoia su un frammento di un contenitore di vetro rinvenuto sul fondo del silos.

Dopo dodici anni SiciliAntica, in accordo col Comune di Favara e con la Soprintendenza di Agrigento, ha effettuato un primo lavoro di catalogazione dei reperti archeologici rinvenuti nel pozzo, fra questi: tegolame, frammenti di piatti, vasi e contenitori di varia tipologia, compreso un frammento di mattone in cotto spesso circa 4,00 cm (fig. 3).

Da un primo esame dei reperti estratti dal pozzo della corte è stato possibile dai frammenti di un mattone di fattura medievale (foto 8 e 9) ricostruirne virtualmente il decoro (foto 10) e da qui il disegno della pavimentazione del piano nobile (o parte di esso- foto 11)

 

 

1) profondità m. 0,00-3,80

Reperti ceramici ritrovati nel castello di Favara

 

2) profondità m. 5,30-5,85

Reperti ceramici ritrovati nel castello di Favara

 

 

3) profondità m. 6,35-7,30

Reperti ceramici ritrovati nel castello di Favara

 

4) profondità m. 9,70-12,40

Reperti ceramici ritrovati nel castello di Favara

 

 

5) profondità m. 12,40-14,20

Reperti ceramici ritrovati nel castello di Favara

 

6) profondità m. 14,20

Reperti ceramici ritrovati nel castello di Favara

 

7) Frammento di mattone maiolicato

Frammento di pavimento maiolicato ritrovato nel castello di Favara

Frammento di pavimento maiolicato ritrovato nel castello di Favara

 

 

8) Fammenti di mattone tardo

medievale 14,8x14,8 cm

Frammenti di pavimento maiolicato ritrovato nel castello di Favara

Frammenti di pavimento maiolicato ritrovato nel castello di Favara

 

 

9) Fammenti ricomposti

Frammento di mattone maiolicato medievale

 

10) Restituzione grafica

Ricostruzione grafica della patina decorativa del mattone maiolicato medievale

 

11) Ricostruzione di brano del pavimento

Ricostruzione di un brano di pavimento