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Carmelo Antinoro © 2008
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ETIMOLOGIA DEL DIALETTO SICILIANO E FAVARESE
Nel dialetto è la storia del popolo che lo parla; e dal dialetto siciliano, così come dai parlari di esso, è dato apprendere chi furono i padri nostri, che cosa fecero, come e dove vissero, con quali genti ebbero rapporti, vicinanza, comunione. Giuseppe Pitrè
La lingua siciliana Fra il secondo e il primo millennio a. C. la Sicilia è stata occupata dalle popolazioni autoctone: Sicani, Élimi e Siculi. L'Élimo, lingua parlata dal popolo che occupava la Sicilia sud-occidentale, era probabilmente di ceppo indoeuropeo, più precisamente di tipo anatolico. Non si sa quasi nulla del sicano, lingua del popolo della Sicilia centro-occidentale. Vengono considerate sicane tutte le iscrizioni non indoeuropee rinvenute nell'isola, ma si tratta solo di supposizioni. Per quanto riguarda il Siculo, idioma del popolo della Sicilia orientale, è quasi sicuramente una lingua italica, vicina al latino. Non si hanno neanche in questo caso certezze perché probabilmente i documenti conservati sono stati influenzati dalle successive migrazioni romane. Altre supposizioni, riguardo l'origine del linguaggio dei siculi, vorrebbero quest'ultimo apparentato con il sanscrito. Successivamente, fra il X e VIII sec. a. C. l'isola fu occupata dai Fenici e dall'VIII secolo a. C. dai Greci. Gli Élimi, i Sicani e i Siculi si ritirarono all'interno dell'isola, conservando lingua e tradizioni. Sulle coste occidentali, le colonie parlavano il cartaginese, con la presenza delle città fenicie di Mozia, Lilibeo, Palermo e Solunto. Su quelle orientali, si diffuse invece il greco. Quest'ultima lingua per secoli fu quella della cultura dell'isola, anche dopo la conquista da parte dei romani nel III secolo a. C. In questo periodo, nella zona dello Stretto, si stanziò anche una popolazione italica, i Mamertini, che portarono con sé la propria lingua del ceppo Osco-Umbro affine al sannita. L'arrivo del latino intaccò fortemente l'identità linguistica siciliana. Il punico-cartaginese si estinse nel primo periodo dell'Impero romano, le parlate indigene andarono poco a poco scomparendo, il greco sopravvisse ma fu prevalentemente la lingua delle classi povere della città. I ceti urbani più ricchi e la popolazione delle campagne adottarono invece la lingua dei nuovi dominatori, che fu favorita anche dalla cristianizzazione. Nel 535 la Sicilia divenne una provincia dell'impero bizantino e la lingua greca continuò a risuonare forte nell'Isola. Progressivamente, dalla metà del nono secolo alla metà del decimo secolo, la Sicilia venne conquistata dai saraceni dell'Africa del nord, e durante questo periodo di governo degli emiri arabi l'Isola poté godere di un periodo di prosperità economica e di viva vita culturale e intellettuale. Intorno all'anno 1000 l'Italia meridionale, compresa la Sicilia, era un miscuglio di staterelli, di lingue, religioni e origini etniche. La Sicilia era dominata dai Saraceni, tranne la parte nord-orientale, che era principalmente greca e cristiana. Dal 1061, con l’arrivo dei Normanni la Sicilia si latinizzò e cristianizzò per la seconda volta. I Normanni portarono con loro non soltanto i propri parenti francofoni (probabilmente in numero esiguo), ma anche i soldati di ventura dall'Italia meridionale, soprattutto di origine lombarda (con il loro idioma gallo-italico) ed altri italiani dalla Campania. Questi ultimi avrebbero importato in Sicilia il latino vulgare, una lingua non molto diversa da quelle parlate nell'Italia centrale. La conquista normanna, durata trent'anni, e la restaurazione della chiesa cristiana provocarono la cacciata dei Saraceni dalle zone centrali dell'Isola. Le zone occidentali della Sicilia furono colonizzate da immigrati della Campania, mentre quelle orientali-centrali furono ripopolate da coloni della Padania che importarono la propria lingua gallo-italica. Questi, in estrema sintesi, furono i fattori che concorsero allo sviluppo della lingua siciliana come la conosciamo oggi. La variante campana del latino vulgare era simile al latino vulgare del centro-Italia, abbastanza simile al latino vulgare della Toscana alla base dell'Italiano, lingua franca, unificatrice e, dal 1861, ufficiale in tutta l'Italia. Questo substrato linguistico campano fu contaminato da molte componenti linguistiche galliche presenti in Sicilia: la normanna, la francese e la longobarda. La nuova lingua, evolvendosi, sostituì diverse parole arabe e greche, ma centinaia di queste parole rimasero nel vocabolario della nuova lingua. Anche oggi, ritroviamo i dialetti gallo-italici nelle zone dove l'immigrazione longobarda fu più consistente: San Fratello, Novara di Sicilia, Nicosia, Sperlinga, Valguarnera Caropepe, Aidone e Piazza Armerina. Il dialetto gallo-italico non è sopravvissuto in altre colonie importanti lombarde, come Randazzo, Bronte e Paternò anche se ha influenzato il vernacolo siciliano locale. Un'altra influenza gallica, quella del provenzale antico, ha avuto tre possibili cause. Il numero di Normanni venuti in Sicilia dalla Normandia vera e propria è difficile da definire, ma non fu mai superiore a 5.000 unità. A questi sono da aggiungere i soldati di ventura dall'Italia meridionale, ma è, inoltre, possibile che questi siano nati in regioni ancora più lontane, come la Francia meridionale. Durante i primi anni dell'occupazione della parte nord-orientale della Sicilia, i Normanni costruirono una cittadella a San Fratello, dove ancora oggi si parla un dialetto siculo-gallico influenzato chiaramente dal vecchio provençal, che porta a dedurre che un numero significativo di soldati chiamati a difendere la cittadella proveniva dalla Provenza. In realtà, ciò può spiegare il dialetto parlato soltanto a San Fratello, ma non spiega del tutto l'importazione di molte parole provenzali nella lingua siciliana. Su questo punto si possono formulare altre due ipotesi. Alcune parole del provençal potrebbero essere entrate a far parte del Siciliano durante il regno della regina Margherita fra il 1166 e il 1171 quando suo figlio, Guglielmo II di Sicilia fu incoronato all'età di 12 anni. I consiglieri più vicini della regina provenivano dal sud della Francia e molte parole del provençal si sono aggiunte alla lingua durante questo periodo. La scuola siciliana poetica è stata influenzata fortemente della tradizione provenzale dei trovatori (troubadours). Questo elemento è una parte importante della cultura siciliana: per esempio, la tradizione delle marionette siciliane (l'òpira dî pupi) e la tradizione dei cantastorii . Non c'è dubbio che i trovatori provenzali erano attivi durante il regno di Federico II del Sacro Romano Impero e che alcune parole del provençal siano state assimilate nella lingua siciliana in questo modo. L'influenza delle lingue iberiche (aragonese e catalano prima, castigliano poi) è, probabilmente, la più importante e la più evidente. Agisce su tutti gli aspetti linguistici, dal lessico (che è quello più facilmente influenzabile) alla grammatica e alla sintassi. Per esempio, sono peculiari di alcune parlate siciliane le terminazioni verbali dell'imperfetto (-ìa, come in dicìa, facìa) e del condizionale (-ìa, es: dirìa, farìa). Infine, sopravvivono degli autentici relitti linguistici, come l'esclamazione "Vàia" che, anche se estranea alle strutture esistenti della lingua, viene utilizzata comunemente. Nel XVIII secolo durante la dominazione spagnola la Sicilia venne assegnata all’impero austriaco; Con gli emigranti di tutte e due le guerre mondiali e poi con lo sbarco degli americani nel 1943, si aggiunsero ancora nuovi vocaboli. La lingua inglese ha pure influenzato il superlativo degli aggettivi della lingua siciliana aggiungendo il prefisso “veri” (assai). Di seguito si riportano alcuni termini dialettali favaresi con relativi riferimenti etimologici.
Geneo Storia Favara
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