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Carmelo Antinoro © 2008
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Ferdinando Privitera ucciso a Favara a furor di popolo di Carmelo Antinoro
A Favara, come negli altri Stati feudali (Comuni con territorio di pertinenza), gli ufficiali dell’amministrazione locale erano nominati dal barone ed in sua vece dal governatore che egli stesso eleggeva per ragioni di lontananza o perché impossibilitato ad esercitare direttamente i privilegi. Nell’Università (poi Comune) la carica più importante era ricoperta dal secreto (qualche volta chiamato anche governatore o camerario) in rappresentanza del feudatario. Il secreto curava la cessione e lo scioglimento delle gabelle e dazi con l’assistenza dei giurati, del sindaco e del mastro notaro. I giurati (1636-1812) facevano parte della corte giuratoria dell’Università; erano gli esecutori delle disposizioni dell’autorità centrale; avevano il potere di emanare bandi, comandamenti ed ordinare ingiunzioni. Loro principali cure erano di provvedere all’annona con i mezzi allora ritenuti più appropriati, all’approvvigionamento del grano, al divieto di esportazione di determinati prodotti, all’imposizione dei prezzi per particolari generi, all’obbligo dei riveli delle coltivazioni, dei prodotti agricoli, etc. Avevano pure il compito di mettere all’asta le gabelle e dare disposizioni sulla sicurezza e salute pubblica, di provvedere alla pavimentazione delle strade interne ed eventualmente esterne, far eseguire ripari alle fontane, bevai ed acquedotti pubblici. Al nobile, feudatario del luogo, spettava la nomina di quattro giurati dell’Università e la scelta doveva ricadere fra coloro che figuravano nella cosiddetta Mastra nobile, ovvero un elenco chiuso di nominativi di persone appartenenti alle famiglie più illustri del luogo. Anticamente correva in Favara un poema in ottava rima siciliana, dove stavano allegati i disegni del castello Chiaramonte, con la descrizione dei costumi, delle usanze e dei pregiudizi dei loro possessori. Fra gli argomenti si leggeva della morte di cotal Ferdinando Privitera che, a nome del feudatario, insistendo rigorosamente per riscuotere il diritto su una fidanzata, fu ucciso a furor di popolo e principalmente dalle donne. Così rimase in quella gente il motto d'imprecazione: Chi ti pozzani fari comu Privitera. L’atto di morte e sepoltura del liber defunctorum n. 9, parte I, pag. 70 dell’archivio della madrice (v. foto) riporta a caratteri minuti: Die 11 luglio 1718 - d. Ferdinandus Privitera an. 40 et in revolutione populi fuit interfectus absque sacramentis sepultus in ven. eccl. Purgatorio per d. Gabriele Alferi. Don Ferdinando Privitera è nato intorno al 1678 da don Domenico e Anna, palermitani, del quartiere Kalsa; ha sposato il 29 settembre 1711, a Favara, con dispensa vescovile, la cugina donna Caterina Portalone figlia del medico Domenico (il cui nonno era di Licata ed il bisnonno di Caltagirone) e di Angela Martorella da Palermo. È stato uno dei cinque giurati dello Stato di Favara tra il 1713 e 1714, quando contava poco meno di 5.500 anime. Si ritiene di dover escludere la causa della sua uccisione riportata in vecchi testi, secondo riferimenti dati dall'arciprete Antonino Salvaggio, per l’anacronismo storico-temporale sull’applicazione del citato diritto e per i buoni rapporti che lo stesso, come rilevato dagli atti, sembrava avere con la famiglia della moglie. La causa dell’uccisione potrebbe, invece, essere ricondotta alla sua attività di giurato, difficile in una realtà sociale come quella di Favara, con la popolazione gravata da angariche tasse, soprattutto per le gabelle che l’Università dava in appalto ogni cinque anni. D’altronde, nella seconda metà del sec. XVIII, a seguito della restituzione alle popolazioni del Regno di alcuni diritti, per opera del viceré Caracciolo, tali furono le agitazioni in parecchie terre, al punto che molti ufficiali dei baroni furono scacciati a furor di popolo.
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